C'è un generale risveglio intorno alla figura poetica di Vittorio Bodini, per lungo tempo relegata nel dimenticatoio da parte della critica italiana, come altri nomi, importanti sia per il panorama culturale salentino che per quello italiano. Ignorare Bodini significava ignorare una delle voci poetiche più importanti del novecento letterario italiano.
Come dicevo, si assiste ad una generale riscoperta, dall'interesse accademico, all'interesse culturale nel senso più ampio del termine, fino ad arrivare al lavoro della casa editrice salentina, Besa, che ha curato le ristampe dell'opera poetica dell'artista salentino.
Oreste Macrì individuò sei diverse poetiche, o "stagioni poetiche" all'interno dell'opera bodiniana, stagioni che divennero sette prendendo in considerazione la fase futurista dell'allora giovane autore.
Bodini fece il suo debutto nel mondo del giornalismo a 14 anni quando il nonno materno, Pietro Marti, gli affidò la correzione delle sue bozze di stampa (il nonno, infatti, era scrittore e direttore del settimanale ‘La voce del Salento’, redattore di ‘Vecchio e nuovo’) e a 16 gli consentì un debutto letterario che fu lampante, con articoli brucianti, polemici e imbevuti di rabbia.
Il giovane Bodini maturava dentro sé reminiscenze futuriste.
Questa è la parte nascosta dell'opera bodiniana che ora, più o meno apertamente, viene via via alla luce. Nel '33 la morte del nonno gettò Bodini in preda all'apice della furia "futurista", infatti, nello stesso anno, venne espulso dal liceo per indisciplina. Motivazione generale "carattere scontroso e ribelle". Dal '34 iniziò una fase della vita di Bodini che può definirsi irrequieta e sulla quale la documentazione scarseggia, si fa frammentaria. Da qui, l'arrivo in Spagna nel '40 e la "nascita" del Bodini più conosciuto nel panorama letterario.
Il Futurismo di Bodini fu gesto e rivalsa. Esplosione della sua giovane età, dell'irrequietezza del sentire troppo stretto che la provincia imponeva, allora come adesso, ad una mente da poeta "maudit" come quella dell'autore leccese.
Scrisse, nel 1932, sul settimanale tarantino "Voce del Popolo", contro le atmosfere di una letteratura di stampo carducciano e postcarducciano, contro l'imperante tardoromanticismo, contro la staticità dell'accademia italiana, scrisse ed immaginò una carica di dinamite per abbattere tutto ciò, per distruggere l'immobilismo culturale della sua provincia, «staticità monumentale, sentimentalismo imbecille, goffaggine provinciale».
La staticità provinciale di una Lecce che non aveva, nel suo immobilismo culturale, la forza di aprire nuovi orizzonti spalancando scenari indeterminati e visionari alla scrittura scatenò in Bodini ciò che, in seguito, avrebbe espresso con la Luna dei Borboni, il suo amore/odio per la terra natìa, le sue eterne fughe, il suo amore per la Spagna ed il surrealismo.
Il Bodini futurista è autore che misura l'astratto, servendosi più volte di indicatori matematici da accostare al cielo, ad esempio, per una “geometrizzazione” della vita in sé.
La "numerologia" del giovane Bodini si riflette anche in "La luna dei Borboni", diventando linea di confine che congiunge la prima esperienza leccese al futuro Bodini, come se avesse, in un certo senso, tentato di "geometrizzare" la sua stessa vita.

Scriveva in "La luna dei Borboni":

“Tu non conosci il Sud,
le case di calce
da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia di un dado”

E, ancora, da Barocco del Sud, il testo "Pitagora è uno delle nostre parti":

"...i fichi d'India che seguono la linea di antiche divisioni catastali..."

"Un cielo schematico, un cielo di genere neutro"

"Il cielo è il non essere, il vuoto architettonico del cuore"

"In altri termini, un paesaggio è di solito uguale algebricamente a X - 1. Il sottraendo è costituito dal cielo, ciò che rimane è la scena su di esso dipinta. Ora, da noi la sottrazione è capovolta: 1 - X, cielo meno figure"

"Quando dico che la vita su questa svogliata pianura è tutta computabile sulla Tavola Pitagorica, intendo forse alludere al peso che il cielo, l'Astorico, usurpa ai nostri giorni. Il cielo è la cifra, l'aritmetica. Forse non è un caso che Pitagora sia uno delle nostre parti"


Scriveva il Bodini futurista:

"Un geniale ardente treno
s'è tediato all'infinito
della quiete di provincia
e da zingaro di ferro
lascia a terra ogni bagaglio,
milionario d'ideali,
e s'imbarca immantinenti
senza prendere biglietto
fuor dal Certo dei binari
impiegati puntuali
all'Ufficio di Atavismo,
ma puntando in direzione
della Gioia: Dinamismo."


"È da un'ora
che questo accento
circonflesso
d'alluminio
sta rovistando l'azzurro
nella ricerca
d'una dolce vocale di cielo."




Francesco Aprile