Ci sono momenti in cui, uno scatto o una pennellata non sono espressione del mondo, ma percezioni che si posano nell’esistere dello spazio umano nel mondo. Lo sguardo più vero è la realtà che vive in noi.

Dice: "Quello che disegno, spesso è il ricordo di un incubo". Nel sogno, che si fa incubo, si snoda un periodo di reminescenza che genera visioni e percezioni.
La mano che si muove su una tela o guida, coadiuvata dall'occhio, l'agire ed il sentire di uno scatto è il tempo ed il metro di una realtà che ritorna distorta, lontana dalle visioni perbeniste di una stampa ad uso e consumo.
Non c'è spazio per paesaggi, manca il tempo, perché si consuma da sé. Ama la natura e, perciò, non riesce a dipingerla, a ritrarla, ma è uno scorrere a ritroso, fino al momento topico dell'essere e del mondo, che rende limpido ciò che la natura si appresta a diventare lungo una disurbanizzazione che relega al degrado gli spazi naturali che prima erano conquista dell'uomo, che poi si fanno spazi urbani, e poi, ancora, abbandono e degrado.

Il tempo della natura che si scorre a ritroso è condizione essenziale alla realizzazione delle proprie visioni.

"Disegno da quando ho memoria...ho sempre amato la natura, ma non ho mai voluto cimentarmi nel realizzare una sua rappresentazione perché è talmente bella, colma di suoni ed odori che vedere di essa un dipinto mi farebbe soffrire perché sarebbe come strapparle l'Anima...ho sempre disegnato figure irreali, ben lontane dalla realtà, ed ogni volta che lo faccio è come se...è come se io non vedessi...ed ogni mia percezione proviene dall'interno, non da stimoli esterni...non mi ispiro a nessuno perché ognuno ha un proprio mondo interiore ed imitare qualcuno sarebbe come darmi della zombie che ha bisogno della mente e delle sensazioni di qualcun altro per poter fare qualcosa..."

Occhi. Punti, tornare e ritornare. Vocazioni. Occhi si susseguono. Sguardi. Orazioni. Esiste una parola che viene dal segno. Non si pronuncia, ma si intuisce, se ne percepisce la presenza. Un senso di dismissione lungo le corde fin troppo tirate della realtà. L'abbandono del sentire urbano è cifra stilistica cruciale in una pittura che si fa "scatto", percezione fotografica del dettaglio che via via, entrando e rientrando nell'occhio, assume nuove forme, si camuffa, torna distorta. Momenti in cui i nostri arti sono come parti mancanti di un puzzle, ma si muovono entro nuove forme. C'è una tensione che è distensione fuori dal cerchio borioso del reale. C'è aria di forte decadenza, parole macilente non si dicono non si ascoltano, ma esistono nel segno. Un pensiero che oltrepassa ogni linea di confine e giunge dritto dove tutti sanno di voler andare, ma nessuno scende ad oltrepassare la linea. Il grigio scontato del mondo, la sua assenza di tensione verso se stesso, il suo annientarsi. C'è tutto questo nella pittura e negli scatti. L'artista si fa portatrice di una tensione dell'essere nel reale, alienata dalle parole perbeniste e dalla società. Quasi uno scorticare se stessi e dissolversi nel colore rosso di una tela che sono le mani. Gli scatti fotografici assumono così connotati pittorici e viceversa. La pittura assume i toni sfocati di un'immagine che oltrepassa la cortina che la società impone agli sguardi ed entra in contatto diretto con gli occhi e la pelle, generando visioni distorte che sono come un tumulto che percorre il corpo. Arti mancanti che diventano soprannumero di pensieri, di azioni. Arti mancanti. Cieli che hanno il sapore cromatico di un negativo, di un bruciare l'aria.

[3/10/09] Daniela Dell'Anna studia presso l'Accademia di Belle Arti di Lecce... – Dice: "dopo aver tentato di allontanare da me la mia stessa linfa vitale..." – coprendo, con i suoi cromatismi, il lasso di tempo che separa uno sguardo dal tangibile.

 

Francesco Aprile