Quando una mano e tutto ciò che comporta diventa metafora del vivere. La mano, racconto breve di Canallegri si inserisce sulla falsariga delle epifanie dei Dubliners di James Joyce. Paralisi e fuga. Il tema dell'opera dello scrittore irlandese. Paralisi e fuga come sintesi estrema dell'esistere. Il vivere che è costretto alla paralisi, che è costretto alla fuga - la morte - come fuga e paralisi estrema di noi. Una piuma, come universo reale della vita, il significato spirituale della fine. (Francesco Aprile)

La Mano

-Scafoide. Semilunare. Piramidale. Pisiforme. Trapezio. Trapezoide. Capitato. E uncinato- elencava ad ogni carezza di scalpello, ostentando una profonda conoscenza dell’anatomia umana, il più esperto e professionale dei miei torturatori, un crudele scultore del dolore, informandomi scientificamente e in tempo reale delle porzioni ossee della mia mano destra che via via andava a frantumare.
Capivo per la prima volta in maniera sufficientemente chiara cosa significasse la parola atroce, mentre non riuscivo a capire, almeno fino a pisiforme (compreso), che cosa cazzo stesse dicendo quel figlio di puttana mentre mi riduceva la mano a pezzettini piccoli piccoli. Piccoli.
A sentir loro non dovevo fare altro che sforzarmi di ricordare. Io ci provavo, il viso incrostato del mio sangue rappreso, con tutto me stesso, ma non ci riuscivo davvero.

Le hanno tentate tutte e per dimostrare che facevano sul serio e che erano pronti a tutto, alla fine, stremati, infastiditi, ammirati da tanta involontaria resistenza al dolore, hanno usato la classica piuma sotto la pianta del piede. Voi ridete e ve lo potete permettere, dopotutto non avete una poltiglia sanguinolenta e inutile al posto di una mano e il boia che vi aspetta puntuali per domattina alle otto.
Io alla piuma non ho resistito. Ridevo, ma era come se piangessi. E a un tratto ho ricordato tutto, tutto quello che volevano che io ricordassi.
Il campionario di sordide meschinità che ho sputato tra una disperata sogghignata e l’altra, l’ho dimenticato subito dopo, quando il maestro di tortura, petto nudo villoso e largo quanto una piazza e cappuccio nero sul volto, con la sua brava piuma ha smesso di infierire sui miei piedini sfiniti da quei colpi leggiadri e mortali.

Il resto è scivolato via senza scosse, per inerzia, secondo uno schema preordinato. Notte in cella a leccarsi le ferite, processo lampo davanti all’Alta Corte, il difensore muto, la sicurezza disarmante nello sguardo e nella voce di Siegen, che ti condanna a morte, che con quegli occhi decide che la tua vita è arrivata alla fine. E neanche il tempo di disperarsi. Solo quello di pensare alla piuma e sorridere, di riflesso.

Canallegri