Per chi, come chi scrive, ha vissuto da ragazzino in ogni sua fibra il senso e il calore del paese negli Anni Ottanta, della sua piazza, dell’attesa della sua festa patronale come quei giorni in cui tutto si tingeva di fiabesco, leggere «Il tesoro di sant’Ippazio» di Alberto Colangiulo (Lupo Editore) è come sentirsi...«spiati». Regalano il senso della fanciullezza in quegli anni le pagine di questo giallo in salsa salentina, ambientato in un luogo-non luogo dove però sono ben delineate le essenze salentine e tangibili le figure di rispetto, dal parroco al maresciallo della Benemerita.

È un romanzo in cui ogni «ex bambino» di quegli Anni ci si può riconoscere. Perché quel piccolo «crimine», quella puerile sregolatezza commessa dai protagonisti, in fondo, l’abbiamo commessa pressappoco tutti, a quell’età. Basso Salento, prima metà degli anni ’80, notte dell’Assunta. Due ragazzini, Vasco e Fischio, inseparabili amici, approfittano della festa paesana per una piccante sortita, ma, inconsapevoli l’uno dell’altro, diventano testimoni del probabile omicidio del parroco. A condurre le indagini è il giovane maresciallo Gerardi che, da pochi mesi in servizio nel posto, si ritrova ad indagare fra le pieghe dei riti, delle superstizioni e dei segreti della piccola comunità. E così le indagini si colorano di suggestioni, da quelle emanate dalla misteriosa chiesa di Sant'Ippazio alla villa abbandonata, un classico quando si parla di giallo, alla piccola abitazione della Maria, bella e chiacchierata donna del paese fino al cuore del racconto, il «tesoro» di questo santo, protettore delle ernie inguinali. Sarà veramente preziosa questa fortuna se qualcuno è arrivato a uccidere il parroco? E perché il prete si trovava da solo in quella chiesa che, proprio in quei giorni di festa, la tradizione imponeva di tenere chiusa? Per scoprirlo bisogna immergersi nelle pagine fluenti del libro e imbattersi in personaggi singolari quanto realisticamente creati da Colangiulo, come il sagrestano Rocco de Salve, detto «'Zu» che in cambio di un tetto tiene a lucido la chiesa. Una storia piena di intrigo e di mistero dunque, narrata con dovizia di particolari e con la capacità da parte dell’autore, di creare un «finale nel finale», una storia per nulla scontata, affatto banale, ma in grado di «inchiodare» il lettore alle pagine, dalla prima all’ultima di questa storia che ha il sapore di un paesino del Salento ma il retrogusto di ogni piccolo borgo del mondo. Giuseppe Pascali