Quella che sta per concludersi è stata una delle settimane più nere della storia ultracentenaria dell’U.S. Lecce, club capace di unire una provincia, di accogliere oltre diecimila persone sulle gradinate più quelle davanti allo streaming a casa, di far scambiare opinioni e pensare a qualcosa di meno impegnativo nelle eventuali giornatacce di un salentino, nella buona e nella cattiva sorte. Tutto questo stavolta non è successo. Dalla sconfitta per 3-0 subita a Foggia domenica 19, bruciante, perché avvenuta sul campo della diretta concorrente, e avvilente, perché maturata senza esprimere gioco, il Lecce è uscito con le ossa rotte, ma la causa non è da attribuire esclusivamente agli artefici in campo. Un tamtam di veleni, di foto scattate e rese pubbliche in ritardo, di giornali online che probabilmente hanno il solo interesse di crearsi visualizzatori, in barba alla corretta informazione, mancando o trascurando una doverosa analisi su una partita senza storia, ha reso il rientro dal capoluogo dauno una telenovela ancora senza finale. 

 

Nel mirino della sparuta folla che martedì, alla ripresa degli allenamenti al “Via del Mare”, ha subissato la squadra di fischi, improperi e minacce verbali non c’era il gruppo che domenica ha espresso una prestazione raccapricciante: in questo caso sarebbe stato tutto giustificabile, perché il rammarico per un derby d’altissima quota perso in quel modo è scontato e non ci si sarebbero aspettati di certo applausi e pacche sulla spalle. Il fatto che spaventa per la sua nullità è che bersaglio del pubblico presente nel settore, martedì 21, e di tutto quello scrivente online e sui social, da domenica 19 ad oggi, è stato il tecnico Pasquale Padalino, per le seguenti motivazioni: non avrebbe saputo imprimere ai suoi giocatori la giusta rabbia agonistica per questa gara quasi decisiva (e ci può stare), avrebbe salutato ed abbracciato cordialmente a fine partita il suo ex allievo ed ora avversario foggiano Coletti (una scena che si vede spesso e dovrebbe continuare a vedersi su tutti i campi perché simbolo di sport che unisce), avrebbe colpevolmente bypassato il classico saluto finale di ringraziamento ai tifosi giallorossi presenti in trasferta (notizia infondata, vista la foto che lo ritrae alzare la mano in segno di scusa sotto il settore), non sarebbe rientrato in bus con la squadra a Lecce, optando per restare a Foggia, sua città natale, dai suoi familiari (polemica sterile su cui non è necessario spendere parole, visto che questi sono accordi che si prendono in società, chi ha masticato calcio lo sa). A suon di scritte sui muri e striscioni con “Padalino vattene”, alcuni con firma Ultrà Lecce, di disappunti tutt’altro che saggi da dietro la tastiera di un computer, si è arrivati ai cori scadenti del tipo “Foggiani non ne vogliamo”, che per nulla rappresentano la qualità del tifo organizzato giallorosso, che invece si è sempre battuto per giuste cause e per un nobile ideale, quello Ultrà, che sta per “oltre il tifo” e non sempre per “tifo estremo e violento”, da portare necessariamente avanti “contro abusi e repressioni”. E non importa se chi ha attaccato dagli spalti o dal computer sia un Ultrà o un tifoso: non è certo questo il modo con cui si sostiene un club secondo in classifica, a -4 dalla vetta occupata dai rossoneri foggiani, con ancora otto turni davanti e di conseguenza ventiquattro punti in palio! 

 

La dirigenza, dopo aver confermato ed elogiato il lavoro svolto sin qui dall’allenatore, ha imposto il silenzio-stampa ai tesserati, soluzione necessaria, prima di un’ultima conferenza stampa di chiarificazione, alla presenza del tecnico. Padalino, molto legato al Salento, nella sua pacatezza è stato sinora emblema di professionalità e correttezza, un vero uomo di sport, come tutta la proprietà di Tundo, Sticchi Damiani e soci. Il gruppo è coeso, sebbene non brillante come all’inizio. Questo ha permesso di ottenere sessantuno punti in trenta giornate, in un campionato sinora avvincente. Può bastare per il primo posto? No, perché il Foggia di Stroppa ha dimostrato di essere più “squadra”, più cinico, di saper correre e far innervosire l’avversario, di essere poco “signora”, senza tuttavia rinunciare al bel gioco. Nulla è perduto e se abbandonassimo quel maledetto fatalismo che caratterizza molti di noi leccesi e popoli latini, se spingessimo i Lupi come fatto sinora, tanto da risultare il “dodicesimo uomo in campo”, se capissimo, dopo cinque anni, che la Lega Pro non accetta compromessi o storie già scritte, tanto è imprevedibile, ci accorgeremmo che il campo ha ancora molto da raccontare. 

 

Domenica 26 alle 14:30, arriva nella Tana dei Lupi un Fondi che dopo esser stata la rivelazione per lungo tempo non attraversa un gran momento di salute, ma darà filo da torcere ai pugliesi continuando a sperare nel sogno playoff. Il Lecce, dal canto suo, deve evitare i playoff, vincendole magari tutte e sperando in due passi falsi del Foggia da qui alla fine. La curiosità: anche mister Sandro Pochesci, allenatore dei laziali, ha dovuto scusarsi pubblicamente per alcuni comportamenti, in questo caso sì, davvero eccessivi e dettati dal nervosismo nei confronti della sua tifoseria durante la scorsa partita in casa. La motivazione usata, per stemperare i toni, riprende il neo-ottantenne, mai dimenticato Sor Carletto Mazzone: “Non ero io, era il mio fratello gemello a comportarsi così”.

Gli UL, in Curva Nord, si faranno sentire e verosimilmente non avranno parole al miele per il tecnico Padalino. Si spera che a mente fredda il pubblico di fede giallorossa capisca che un equivoco e tanto “fuoco” aizzato e poi smorzato da alcuni media locali non possono spegnere la passione per questo sogno di rivedere il Lecce trionfare... ricordando che, in fondo, sono “solo” delle partite di calcio. 

Stefano Verri