Quattro romanzi in uno firmati da Davide Morgagni. È in libreria per i tipi di Musicaos Editore Il rifiuto, nuovo lavoro editoriale del regista, scrittore e attore di numerose pièce teatrali, leccese classe 1977, che raccoglie i quattro romanzi pubblicati dall’autore tra il 2014 e il 2019 e che trovano conclusione con l’inedito Finché c’è rabbia del 2023. Il rifiuto è un grande affresco narrativo composto in dieci anni di scrittura da Morgagni, e iniziato con l’esordio de I pornomadi, proseguito con Strade negre e La nebbia del secolo. Il lettore seguirà le vicende dei personaggi dal duemilasette, spostandosi nel tempo e nei luoghi, da Lecce a Roma, da Roma a Parigi, e poi di nuovo nel Salento. Per l’occasione tutti i romanzi che compongono Il rifiuto sono stati riveduti per questa edizione. C’è qui una sintassi che evolve in linea esponenziale, mescolando i piani del pensiero, della creazione poetica, della cronaca, con una lingua nuova. Davide Morgagni porta a compimento la realizzazione di una macchina letteraria dissacrante, canzonatoria, eccessiva, godibile, al di là delle stesse possibilità di ogni formalismo. Il rifiuto, che inaugura le uscite della collana «Balbec» di Musicaos Editore, cui faranno seguito i nuovi libri di Giuseppe Goisis, Raffaele Gorgoni, Francesco Lanzo, è il romanzo di un quindicennio urlante, di cui fa proprie tutte le istanze più urgenti, dal controllo totale al terrorismo, dalla liquidità delle nuove classi sociali alla sindrome dell’apparire, portando alla ribalta un pensiero in rivolta, filtrando la realtà attraverso il languore di un’esistenza che non si vuole arrendere allo stato delle cose. Da Finché c’è rabbia: Sud. Fissa la Chiesa di Santa Rosa, la testolina della statua della Santa Patrona sagomata da un raggio di sole. Piange, Cadei ha voglia di vomitare, urlare, o magari partire, prendere un treno, un volo, una zattera. Sud. Che rabbia il sud, non c’è nulla da dire al mattino, a sud, nessuno a cui dirlo, non c’è stato mai nulla da fare, nessun altro posto dove andare. Il calzolaio strepita come al solito un vaffanculo, oggi ce l’ha contro il nuovo Governo, mentre succhia allegro una sigaretta sotto l’ombra del porticato. Sud, un fresco venticello di tramontana scorre lesto dal mar adriatico, la primavera verrà a breve e avrà i denti storti, lunghi, da vampiro, i denti dei milionari. Laggiù qualcuno s’alza il paltò e già tossisce pensandoci su, sa di avere un bruciore alla gola ma non sa perché il gatto mostra al sole la sua ruvida calda linguaccia egizia. Sud. La popolazione dei rioni popolari conta un’alta percentuale di zoppi. Sud, color papaia seicentesco sui palazzi anni sessanta. Sud, nessuno sa nulla di sé, i rumori, i suoni, le voci, si estendono lenti, come paranoie, verso le spume in pieno mare. Al centro della fontana, in rifacimento, un operaio con un trapano tra le cosce sta pensando di sgobbare per niente e di farla finita per sempre. Sud. I topi tremano nei sotterranei graveolenti e fantasticano di vivere a nord. La vita squisita, la vita promessa da Bacco, calda, polposa, attende bocche di giovani ragazze senza bocca, la bocca della fioraia senza bocca, la bocca della fornaia senza bocca, del cielo che non ha mai avuto una bocca. La bocca del sud. Depressioni, imprecazioni senza bocca. La vita calda, in attesa di una vita senza bocca, in attesa del peggio, trascorsa a far nulla e finta di niente. «Me ne importa un fico secco, o si scrive da morti o meglio andarsene in Cina, maledizione, al più presto… o da qualche altra parte sul Golfo del Bengala sì, da quelle parti, sul Golfo amore mio… giuro che mai nessuno capirà il mio capolavoro, i miei segreti, sino a quando vivrò in occidente… oh io sono postumo dalla nascita, sì amore mio da oggi mi chiamerai fratello Paride fuggito dall’Ordine…». «Sud». Si sa soltanto che si va a Sud e domani è festa. Sud, Paride è un ignorante! È già morto da tempo e ha anche pianto al proprio funerale. Sud, il tanfo dal cesso fuggirà via, fuggirà via dall’ordine, fuggirà dall’abito. Sud».