
Edoardo De Candia. L'atto liberatorio dell'arte, "vagabondo" della tela, espressione del gesto pittorico come vita. La Lecce in cui mosse i primi passi era una città chiusa all'innovazione, dominata da un accademismo obsoleto che non vedeva di buon occhio le avanguardie artistiche e culturali. Questo, insieme al suo essere senza regole, contribuì a chiudergli molte porte, portando alla costruzione di un'aura "negativa" che, nella città di Lecce, aleggiava intorno alla figura dell'artista.
Suoi amici d'infanzia erano Ercole Pignatelli, Tonino Caputo, Ugo Tapparini. Tutti artisti, proprio come De Candia.
Antonio Verri, suo amico e profondo estimatore, scrisse, in "Un Cavaliere senza terra", che tutto ebbe inizio con falò.
Da quel falò, in cui l'artista bruciò le sue opere giovanili, venne fuori un nuovo De Candia.
A proposito del falò, fu lo stesso De Candia a dire: "Volevo fare una mostra e l'ho fatta in cielo. Ho bruciato tutti i miei quadri".
Le partenze dei suoi amici, verso Roma e Milano, segnarono un primo declino, un abbandono verso una vita sregolata.
In seguito, De Candia raggiunse a Roma Tonino Caputo, dividendo l'appartamento con Carmelo Bene.
Ma per De Candia Roma non funzionò, come non funzionarono nemmeno Milano, Torino, Londra, ma al suo ritorno a Lecce tenne una mostra memorabile presso il Castello Carlo V.
Amante della natura e, soprattutto, del mare, ha riservato proprio al mare profonda attenzione all'interno delle sue opere.
L'ultimo De Candia fu visionario. Le sue opere erano disegni semplici, limpidi, in cui con pochi, pochissimi tratti era capace di catturare aspetti specifici di un soggetto, cogliendone la vera essenza della bellezza.
Diceva De Candia a proposito dell'arte:
"Tutta l'arte è vita! Tu piglia una pianta, se non gli metti la merda come cazzo fa a crescere? Concimi! La concimi! E' la vita l'arte!"