Degno di amicizia è chi ha dentro di sé la ragione di essere amato (Cicerone). Per quanto si sia stati amici in epoche passate condividendo giornate e situazioni succede che questa amicizia evapori, inopinatamente, sino a concedersi, se proprio, un blando saluto, sino all'evitarsi! Talvolta, in ciò, è fatta salva la reciprocità e col «mal comune mezzo gaudio...» ci si consola. Altre volte la sopraggiunta «inimicizia» è unilaterale e lascia scorie di profonda amarezza. Eloquente, sulla tematica, il film Gli Spiriti dell'Isola con le efficaci interpretazioni di Colin Farrel e Brendan Gleeson. Ma restiamo alle nostre contingenze dacché la filmografia evoca accadimenti della vita reale e non li spiega. Come non li spiegherò io. Epperò li racconterò. Le circostanze della vita accroccano individui destinati a frequentarsi ma poi, perseguendo evoluzioni individuali, soggetti a differenziarsi. Al pari delle cellule staminali, di cui in embrione siamo costituiti, ovvero cellule uguali che, nella crescita, si specializzano e diventano il tessuto parenchimale degli organi che compongono il nostro soma, noi ci orientiamo verso interessi che vedono l'amico di quell'era diventar caduco e, c'è poco da fare, gli diamo l'ostracon. Sì, lo ostracizziamo dal nostro divenire. Talvolta, la consapevolezza del tempo perso con chi è ormai visto come assolutamente inadeguato per il nostro futuro è tale da farci assumere un atteggiamento malmostoso nei confronti dell'(ex) amico e, se pur ci viene chiesta una spiegazione, tale richiesta ci ingrugnisce viepiù poiché non siamo in grado di darla manco a noi stessi! È successo e tanto basta, cavolo! E, quindi, se di quell'ostracon sei stato il destinatario incolpevole (?) che fare? È giusto il rammarico. Da considerare il disappunto. Da bandire l'acrimonia, pensare alle cose positive che pure ci sono state e accogliere, seppur dovesse accadere anni dopo, l'eventuale resipiscenza alla stregua di un figliol prodigo, magari non si ammazzerà il vitello grasso ma togliersi qualche sassolino dai calzari sarà d'uopo e reciprocamente utile. I mancati chiarimenti, le spiegazioni eluse enfieranno quei sassolini sino a farli diventare macigni. Ergo parlarsi; talvolta è la panacea. Fin qui l'allontanamento per cause «naturali»: staminali che seguono il proprio evolversi in funzione strutturale. Ma non è sempre così. Mannaggia! Accade che le motivazioni non siano naturali e si perpetrino dei torti, scientemente, e, senza che si debba necessariamente essere tacciati di permalosità, questi sgarri, indipendentemente dalla loro gravità, minano l'istituto della fiducia, caposaldo di ogni rapporto degno di essere vissuto. Anni fa, in vacanza con amico, il mio migliore, e rispettive pulzelle, eravamo in Sardegna, pieno agosto, nessun albergo disponibile e, allora, niente bad and breakfast a tamponare la penuria ricettiva del periodo. Finalmente, dopo tanto peregrinare, stanchi, in Barbagia, troviamo un albergo con due stanze che si erano liberate, una subito pronta, l'altra lo sarebbe stata un'ora dopo. Io mi predispongo a cedere subito al mio amico la stanza disponibile. Così ritengo si debba fare. Ma quello mi precede e dice: «Lino questa è la vostra stanza!», indicandomi quella non ancora occupabile. Ciò dettomi egli acchiappa la partner, silente complice, e s'introduce nella camera pronta. Io non registro subito l'evidente scortesia, il mio amico era per me pressoché indefettibile e poi, di mio, ero già propenso a favorirlo dandogli precedenza. Ad aprirmi gli occhi e dare uno scossone alla mia indolenza (definirla tolleranza sarebbe eufemistico, ma forse lo è anche indolenza, in realtà si trattò di pavidità nel fronteggiare il prepotente ancorché «amico») fu la mia compagna: «Sono questi gli amici che mi fai conoscere?» Pronunciò. Come darle torto! Il seguito del viaggio fu invelenito da questo disdicevole episodio il cui coprotagonista non volle mai chiarire. Glissando ad ogni tentativo di spiegazione. Non vedevamo l'ora di tornare a Lecce. Negli anni a seguire il mio rapporto con quest'amico si deteriorò. Soltanto recentemente, di fronte ad un riavvicinamento dall'acre sapore senile, posto nuovamente di fronte a quel misfatto, quell'amico mi ha concesso, cito testualmente: «Lino, per quel che vale ti chiedo scusa». Incassate quelle scuse dopo decenni, non ho potuto fare a meno di chiedergli: «Ma perché lo facesti?». «Non lo so, forse volevo fare bella figura con la ragazza», fu la risposta. Voi che ne dite?