
Nato a Bari, ma portato a Lecce quand’era ancora in fasce, nutre un profondo amore verso il Sud, verso il Salento, sua terra e sposa fra le braccia dei secoli.
L’amore dura un attimo e dura un’eternità. Un amore paradossale che si fa odio e poi ancora amore in un percorso ciclico che apre e chiude un cerchio con le parole in prosa e versi dello scrittore.
Il suo continuo confrontarsi con le maggiori realtà italiane ed europee lo porta quasi ad “odiare” il suo Sud, ma non è un odio vero e proprio, è un odio verso una certa situazione che caratterizza il Sud. Il suo abbandono, generatore costante di ferite che non si rimarginano e che rende il Salento una dimensione sospesa che non accusa il passare del tempo, quasi fosse un mondo parallelo chiuso in una bolla.
Tutto questo a detta di Bodini è un passo verso il raggiungimento di quella “Terra del Rimorso”, come diceva Oreste Macrì. Terra del rimorso perché è il Barocco la sua anima, che si fa modo d’essere, condizione di vita dalla quale non si può non dipendere se si vive in queste terre mai scalfite dal tempo, ancorate all’audacia stilistica di una Chiesa barocca.
Come dice lo stesso Bodini in “Barocco del Sud”:
«Una città è come una donna fra le braccia di secoli ognuno dei quali può modellarle a sua somiglianza l'anima e il volto. Lecce non ha conosciuto che un grande amore, la cui memoria è così gelosamente esclusiva da farla sembrare ancora oggi una città del Seicento...è una città vedova del suo tempo, e questo sentimento che la storia non vi riesca a procedere è lo stesso che suggerisce la pianura circostante, dove a volte si resta in ascolto aspettandosi di udire gli spari di antiche colubrine, per un attacco di pirati saraceni o di briganti. Nessun altro rumore potrebbe turbare il silenzio di questo spazio desolato che lascia da ogni parte l'orizzonte scoperto, sotto un cielo che è impassibile come un piatto di porcellana. Un cielo che schiaccia ogni cosa, e in cui un albero finisce col non essere più alto d'un filo d'erba...siamo nelle viscere del Seicento. Ma c'è di più: basta fermarcisi a vivere pochi giorni perché a poco a poco si faccia strada in noi un sospetto stranissimo, che essa non sia un luogo delle geografia ma una condizione dell'anima, a cui s'arrivi solo casualmente, scivolando per una botola ignorata della coscienza.»
“Tu non conosci il Sud” è un grido verso il mondo di un amore strozzato dall’abbandono di una terra fra le braccia della morte, la morte di un secolo, il Seicento, passato ed andato, del quale ci si porta dietro molto più della semplice eredità artistica o culturale, ci si porta dentro un modo d’essere che non riesce a districarsi dalle radici antiche del Barocco per estrapolarsi ed imporsi in un nuovo contesto. No. Il tempo intorno passa e l’essere Barocco resta e fortifica le proprie radici.
Poeta stilisticamente ruvido, essenziale, a differenza del Barocco, discorsivo, crudo, per certi versi allucinato surrealista. Amante perduto del simbolismo lorchiano, autore di una poetica capace di generare forti evocazioni, immagini allucinate che sono ritratti di una terra e di una vita. La sua poesia è sintesi estrema del Salento rifacendosi ai contrasti fra luce-vita/ombra-morte. Una poesia con una valenza duale, che rispecchia il rapporto amore/odio che l’autore aveva nei confronti della sua terra.
Francesco Aprile