L’intrico ordinato.
L’ossimoro del viluppo sfilato e rifuso, del groviglio fra gesto, suono e segno.


di Francesco Pasca

Ritorno a parlare dell’In e dell’Out in occasione della personale del Pittore-Scultore Mauro Sances presso il Palazzo Grassi di Aradeo dal 4 al 13 dicembre. Questa volta in aggiunta e col termine di “Toccarsi”-“Toccare”, di mantenersi in contatto. Riutilizzo all’uopo il tasto, il tatto, il contatto, il pizzico, la relazione, il rapporto della goccia di inchiostro, l’inkjet e la sfumatura del toccarsi, dello sfiorare e poi del confinare, dell’uguagliare con il riguardare ed infine del commuoversi.
Tutto questo intrico per raccontare di un happening svoltosi presso il Palazzo Grassi ad Aradeo in occasione di alcune iniziative promosse per “spazi per la ricerca, per l’arte, per il territorio” dall’Associazione di Galatone “a Levante”.
Gli amici  che sono andato a trovare, che mi attendevano con un altro termine in uso, per gli anglofoni del “To Keep in touch”, erano quelli dello touch screen o dello schermo tattile.
Carmen De Stasio, Gianluigi Antonaci, Giulia Santi, Mauro Sances diventavano il particolare dispositivo ed il frutto dell'unione di uno schermo e di una digitalizzazione.
Mi è stato dato il “con-senso” di interagire con un’altra interfaccia, non grafica ma mentale. Le parole della De Stasio le ho avvolte nel colore delle città di Mauro Sances. Quelle assonanze erano il tocco delicato della Santi su di uno schermo parlante, la cui magistrale predisposizione tecnica poetica e musicale era del Maestro Antonaci, del Pianista regista e compositore informatico, musicale.
Erano il “Modello d’analisi e il trattamento digitale del suono” nonché del suo “Laboratorio di restauro audio” presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce.
La multi/ipermedialità e la creatività nella live electronics si sottolineava con la perfomance di Giulia Santi, neo laureanda in filosofia ed allieva del Maestro Antonaci, intenta ad articolare suoni in Touch e ad alternare altrettante sonorità parlate coi versi di Leopardi, e, simultaneamente, sull’operato di Mauro Sances.
Il “we'll keep in touch” diventava il rimando al “vi scriverete”, “vi sentirete”.
Era un tattile mentale che diventava, allo stesso tempo, un dispositivo di output e di input. Per chi ama, in quel fare, “Allo Stesso Tempo”, trovava nel diacronico la capacità di riconoscere la presenza di più dita, di più menti, di più oggetti e soggetti presenti sull’idea di uno schermo dalle tecnologie capacitive e resistive.
Il touch era lì affisso, il  touch era lì per colpire, il touch era lì per il contatto. Era il touch-and-go incerto, era  il touch rischioso e si trasformava nell’è – Es, nell’after-touch. Il ritocco diventava il finishing touch, la rifinitura.
Le sale del Palazzo “Grassi” di Aradeo, si animavano nei passi di gente curiosa, si sciamava da stanza a stanza come nel groviglio delle Città alla ricerca della scultura e del colore.
Mauro Sances ci sorprendeva con la costruzione ideale delle sue Metropoli e del suoi City-Man, con gli incroci ideali in spazi labirintici pluridimensionali. Le forme totemiche di ancestrale memoria, si associavano come stratificazioni sedimentate da una geologia costruita. Diventavano, altresì, le attente testimonianze della sua operosità quotidiana.
L'artista dava questa testimonianza con la violenta sovrapposizione della materia colore e la dinamicità del suo quotidiano. Il film cromatico sulle superfici lisce faceva il resto coi tocchi Touch della giovane Santi.
L’operatore Sances, che mi è anche amico, ed è per questo che mi permetto di allertarlo, in alcune testimonianze cromatiche mi appariva, a volte, ancora acerbo. Mauro si lasciava trascinare dal quotidiano degli altri, dalla compiacenza cromatica, dalle cornici che ne ingabbiavano i suoi intrichi.
In Sances si ravvisava, certamente, credo momentanea, una non precisa autonomia inventiva necessaria per volare. La sua cultura artistica sebbene ampia e riconducibile alla formazione costante del fare lo stringeva nello stereotipo di alcune tele, nell’immancabile piacevolezza che dà, può dare il colore con il suo ovvio.
Di contro vi era la forma labirintica tra pensiero e forma che divenivano gesto risolutore.
In Sances era evidente l’amore del produrre le sue Schegge di Tempo e di essere costretto a donarle alla nostra osservazione.
La sua recente operazione estetica ha voluto nominarla “Tra Cielo e Terra” nella consapevolezza dell’essere nella precarietà esistenziale. Da operatore estetico, il Tempo geologico lo manifestava nella costante presenza dell’essere essenzialmente scultore.
La consapevolezza del quasi colore lo si evinceva nel volersi ricondurre al solo plasmarlo e nelle velature cangianti dei primari. La strada intrapresa su quelle vie tracciate, per occhi smaliziati, può ancora sembrare lunga e faticosa. La possibilità è perdersi e non ritrovarsi. Sarà stato il caso dei Menhir? Delle pietre che segnavano i percorsi? Della pietra miliare presente ed incombente?
Attendo il prossimo impegno di Sances. Lo attendo su uno, sui tanti di quei tracciati. Lo attendo, questa volta, tra Cielo e Cielo.