
Insomma. Non saranno quegli stessi anni. Non ci saranno i Verri, i Bodini ecc... ma se, come scriveva Verri, «l'abbondanza di riviste [...] denuncia lo stato di grazia di una cultura», questo sembra essere un periodo in fermento.
Possiamo parlare, infatti, di quello che avviene e monta, gonfia. Ritorna come onda al momento della risacca. In questa Terra di e non solo riviste. C'è tutto un percorso che si tira dietro anche quegli ultimi anni di Verri. Un periodo lungo vent'anni, dal 1990 al 2010. L'impegno di un gruppo, forte, di persone che ha fatto in modo che non si perdessero esperienze importanti. Nel 1991 nascono a Copertino le edizioni de Il Bardo con pubblicazioni che si protraggono ben oltre il 2000. Ancora. L'importante attività teatrale di Astràgali. E Koreja. Il Fondo Verri sotto la guida di Mauro Marino. La rivista Vertigine, periodico di scrittura e critica letteraria, fondata da Rossano Astremo, il sito Musicaos.it di Luciano Pagano e Stefano Donno, le innovative collane editoriali di Francesco Saverio Dòdaro, le pubblicazioni delle Edizioni Icaro, la recente nascita della rivista Krill edita da Lupo Editore, il recentissimo movimento New Page di Francesco Saverio Dòdaro, la presenza - importante - del quotidiano Il Paese Nuovo, la rivista Coolclub.it che - di tanto in tanto - dedica un intero numero alla scrittura. I quaderni della collana I Poeti dell'uomo e il mare, fondata da Augusto Benemeglio e diretta da Maurizio Nocera. Poi. Officina Chinaski. La rivista Arte e Luoghi fondata da Antonietta Fulvio nel 2005. La collana Poet Bar di Besa a cura di Mauro Marino. Le pubblicazioni di Qui Salento (fra le quali, scritti di Antonio Errico).
E quando si fanno elenchi, si corre sempre il rischio di dimenticare qualcuno e le sue interessanti attività. Che di volta in volta, ricordandomene, aggiungerò e delle cui assenze, ora, mi scuso.
Ed in questa occasione si parlerà di una delle iniziative sopraelencate. Perché è l'agosto 2010 e ci sono dei racconti da leggere in questa calda estate. Tutto un volume, una rivista da sfogliare ai ritmi diversi delle storie ospitate. Si tratta del numero di agosto di Coolclub.it, interamente dedicato alla scrittura, per un totale di 19 storie ospitate fra le pagine di questa rivista in distribuzione gratuita. E scrive, nell'editoriale della rivista, Osvaldo Piliego "[...] C'è chi ha la mano veloce, chi corre sulle pagine come un pianista in fuga, ma sono pochi [...] Le pagine che avete tra le mani sono piene di racconti. Non troverete recensioni o interviste, ma storie raccolte in giro tra amici e sconosciuti [...] Il risultato è l'istantanea di un anno di incontri più o meno fortuiti".
Storie diverse che sudano, allo scorrere denso del sole sulle giornate calde, tutto un susseguirsi veloce, di volta in volta, in cui emerge il diverso modo d'approcciarsi alla scrittura e lasciarla fluire. Il diverso modo di farla pervenire al lettore.
L'Aria calda della stagione lega bene i suoi battiti e respiri al muoversi del testo, dal titolo Aria, di Roberto Conturso che apre la raccolta. Aria. Dunque, come l'adrenalina che si mescola all'ossigeno entrando in gradazioni diverse, a seconda delle boccate e del raggio emotivo delle situazioni, in circolo nel corpo. Della storia e del lettore. Che assume a sua figura il ruolo del protagonista in un gioco frammisto ad istanti asettici in pieno scontro/conflitto ad altri, istanti, a velocità frammentaria, in un ritmo sincopato del sangue. Perché gli istanti della storia raccontata hanno, appunto, il sapore dello scontro come confronto, di un coltello che affonda la sua lama nel divario fra il rispetto di ieri ed il disprezzo di oggi.
E a questa atmosfera si stringe, quasi in modo del tutto naturale, come fosse completamento e prosecuzione, la storia raccontata da Stefano Zuccalà, Da qualche parte, in un dove che è diverso. Altrove. Si sarebbe parlato di una lingua diversa. Qui, Stefano Zuccalà, che è poeta. Autore di canzoni. Si confronta col testo narrativo, un piccolo racconto che intarsia l'aria di Conturso con una narrazione poeticamente intrisa di malinconia dove le parole sradicano, strofinano se stesse lungo sentieri misti all'altrove. Poetico/concettuale che è proprio di un discorso narrativo/immaginifico profondo, denso. A tratti cupo. In quel "da qualche parte" che si traduce nell'altrove dei sentimenti che catalizzano il loro potenziale esplosivo nella notte, nello scorrere dentro e seppellire via tutto. Tutte le epoche ed i loro crolli. E macerie. Usando, scrive l'autore, "le parole di tutti", quelle ormai corrose, inadatte, perché diceva Carmelo Bene, non bisogna essere nel linguaggio, ma - mutuando concetti nietzscheani e saussuriani - bisogna disfare il concetto stesso di soggetto e abbattere la sua forma nella non esistenza. Non essere nel linguaggio per essere nella non esistenza. Perché il discorso non è l'io parlante, ed io che parlo, mentre lo faccio, non esisto. Un uscire dal linguaggio ormai logoro, smunto al fetido impigrirsi del tempo. Ricacciare, le parole, nella cesta - tesa - della malinconia.
E fra le 19 storie da leggere, ancora, è possibile trovare, inoltre, un testo di Elisabetta Liguori in cui lo spazio letterario, narrativo, è quello proprio di uno spazio senza cedimenti. Falle. Nessuna. Assolutamente nulla. Un continuo macinare chilometri, annusare, scavare. Un continuo lavorare sui ritmi biologici del lettore. Che è sotto assedio. Pressato. Stretto all'angolo in una morsa che lo inchioda alla pagina, ed una stanza numero 18, non più spazio letterario, ma estensione delle parole di Elisabetta Liguori che si materializzano alla vista, all'udito, sottopelle fin nello stomaco. Penetrano. Sanno farsi lettore. Uscire da quel gioco/ruolo passivo, in cui spetta solo d'essere lette, per farsi loro stesse lettrici di un lettore che ne viene divorato. Che non ha certo il tempo di staccare gli occhi dal foglio, dall'ipotetico spazio di una stanza numero 18.
Francesco Aprile
2010/08/16