L'Agenda Digitale Europea e quella italiana, che discende dalla prima, è una delle sette iniziative prioritarie (7flagships) della Strategia Europa2020 adottate per una crescita intelligente dell'area EU.
L'obiettivo fondamentale è quello di “sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso.”
Certo, è ben noto che in Italia esiste un reale rischio di “Digital Divide”, ossia il divario tra chi ha accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione note come ICT in ambito europeo e chi, per diversi motivi come la mancanza di alfabetizzazione digitale, le infrastrutture carenti o altro non ha accesso a questa “porta del futuro”.
Anche al fine di scongiurare questo rischio, l'Unione Europea ha istituito nel 2012 la carica di Digital Champion.

Oggi intervistiamo uno dei Digital Champion (DC d'ora in poi) italiani, l'Ing. Domenico Aprile, DC del Comune di Caprarica di Lecce (LE).

Salve Ingegnere, ci darebbe delucidazioni riguardo il Digital Champion?
Prima di tutto, preferirei che questa chiacchierata continuasse dandoci del tu. Non sono le cariche a fare le persone. Tutti, anche a Caprarica (e non solo), mi conoscono come “Mimmo” e va benissimo così.
Quanto alla domanda, la carica istituita nel 2012 in ambito EU non ha prodotto grandi risultati in Italia. Attualmente, il DC italiano è il quarto della serie ed è il giornalista Riccardo Luna, direttore di Wired Italia, Chefuturo.it, autore del libro “Cambiamo tutto”, che ha inteso in modo innovativo e originale questa carica. Infatti ha istituito un’Associazione “Digital Champion Italia” con l'obiettivo di individuare un DC in ogni Comune Italiano.

Come si diventa Digital Champion?
Il processo di “selezione” è semplice quanto efficace. Chi ritiene di avere i requisiti per storia, cultura, etc., sottopone la propria candidatura per uno dei comuni ancora liberi (basta andare su  e fare una ricerca per area geografica), raccontando la propria storia. A quel punto, gli altri DC della zona o chi conosce le persone candidate, referenziano il DC “in pectore”. Ma l'ultima decisione spetta a Riccardo Luna che, personalmente, vaglia tutto e decide. È importante, poiché si instaura un rapporto fiduciario.
Per diventare DC, quindi, bisogna essere un tecnico esperto o, come si dice oggi, un “NERD”?
Assolutamente no! La diffusione della tecnologia dipende spesso da una oggettiva difficoltà a comprenderne l'efficacia e l'importanza. Nasce cioè da un “gap” culturale. Questo gap non potrà mai essere colmato se facciamo diventare la tecnologia una nicchia per pochi eletti. Occorre, invece, essere un ambasciatore dell'innovazione ciò presuppone la capacità di diffondere la “cultura” dell'ICT. Ma, perché ciò avvenga, bisogna aumentare il bisogno dei servizi cosiddetti “ICT based”. E questo può essere fatto solo se i cittadini diventano abili nell'utilizzo della tecnologia.
Che non è più un vezzo, ma un bisogno: basterebbe allinearsi alla diffusione del digitale della media europea per far crescere il PIL di 2 punti percentuali.

Un DC quindi, è un “campione” dalle capacità superiori alla media?
No, per nulla. Un DC deve essere una interfaccia tra la gente e l'amministrazione. Deve essere un facilitatore, una persona che crea interesse attorno a dei progetti di innovazione. Un volontario digitale.

Ecco, ripartiamo da qui. Che significa “volontario”?
Significa che il DC non è retribuito, non ha staff e non ha budget, anzi paga una quota annuale (sebbene minima) all'Associazione di cui ha scelto, liberamente, di fare parte.
È una risorsa a costo zero per la comunità in cui opera, l'Amministrazione di riferimento e chiunque abbia voglia e capacità di contribuire alla crescita digitale del Paese inteso come “polis”, insomma.

Quali sono gli obiettivi di un DC?
L'obiettivo generale di un DC è quello di creare reti di persone attorno a progetti in particolare di alfabetizzazione digitale. Svolge anche un ruolo di stimolo nei confronti del governo e di raccordo in sede europea.
In sostanza, il DC per il proprio Comune deve risultare una sorta di “consigliere aggiunto” o più in generale, di “risorsa” a costo zero, a disposizione dell'Amministrazione, su base assolutamente volontaria e non onerosa.
Gli obiettivi specifici dei DC prevedono una sorta di help desk per gli amministratori pubblici sui temi del digitale; garantiscono la difesa del cittadino in caso di assenza di banda larga, wi-fi ed altri diritti negati; promuovono anche con il ricorso al crowdfunding, progetti di alfabetizzazione digitale, dai bambini agli anziani.

Quali sono i tuoi obiettivi, in concreto?
Riprendendo un ragionamento fatto prima, credo che non si possano avere Smart City senza Smart Citizens: le città intelligenti esistono in quanto esistono cittadini intelligenti. Questo vale anche per la tecnologia. Le Smart Communities sono composte da diversi attori: imprese, Pubblica Amministrazione (PA) e cittadini.
Le imprese, oramai, dovendo competere in uno scenario mondiale, hanno da tempo iniziato un processo di innovazione. La crisi ha certamente accelerato alcuni processi di innovazione che, però, sarebbero stati comunque inevitabili.
La Pubblica Amministrazione, invece, erogherà servizi high tech ad alto valore aggiunto quando la domanda di questi servizi, da parte dei cittadini, diventerà ineludibile.
Ma perché ciò avvenga occorrono molte cose. La prima è una alfabetizzazione digitale delle persone a rischio Digital Divide: è noto che molti cittadini della mia generazione e oltre, abbiano deciso che l'ICT non è affar loro. Queste persone, con la digitalizzazione della PA (per non parlare di ogni altro ambito) saranno gli analfabeti del terzo millennio se non li recuperiamo. E, con l'aspettativa di vita odierna, non possiamo permetterci di avere larghe fette della popolazione escluse dai processi di cambiamento che, piaccia o meno, sono in atto a livello globale ed in ogni ambito lavorativo.
Poi c'è un grande problema infrastrutturale: la banda larga ed ultra larga (fibra ottica).
Alcuni servizi (si pensi per esempio alla diagnostica per immagini in ambito medico) hanno bisogno di connessione ad altissima velocità per poter diventare capillari e fruibili (es: un consulto medico a distanza, magari sfruttando la “realtà aumentata”).
Senza una infrastrutturazione adeguata, non sarà possibile erogare e fruire servizi ad alto tasso tecnologico.
A chi questo sembra una inutile deriva tecnologica dico: se, oggi, vi proponessero di muovervi in calesse, accettereste? Io credo di no.

E i “nativi digitali”? Che ruolo possono avere nello sviluppo ICT del nostro Paese?
Importantissimo. Ma dobbiamo sfatare un mito. È vero che i nostri ragazzi sanno usare smartphone, pc, tablet meglio dei loro genitori. Ma, obiettivamente, quanti di loro li usano consapevolmente?
Ad esempio, quanti di loro sanno che quando mettono una foto su Facebook o mandano un video su Whatsapp questi diventano di proprietà delle società che gestiscono questi social?
Quanti di loro utilizzano consapevolmente sistemi di protezione della privacy?
Ancor meglio, quanti di loro sono in grado di realizzare una app per smartphone o si appassionano alla tecnologia da sviluppatori?
Diffondere la cultura del digitale significa utilizzare le naturali propensioni degli adolescenti verso la tecnologia, facendo di tutto per farli appassionare allo sviluppo di contenuti high tech. Che è poi, l'altra faccia della medaglia dello sviluppo: se aumenta la domanda, deve aumentare l'offerta qualificata.
Dobbiamo tornare a produrre tecnologia. Oggi la usiamo e basta. Un tempo avevamo l'Olivetti, ad esempio. Oggi non sappiamo nemmeno che Federico Faggin è l'inventore del microprocessore. Ed è italiano. Ha iniziato con Olivetti.
Io insegno a scuola. Informatica.
E se arrivo in una classe e chiedo se sanno cos'è Arduino (un microprocessore creato da un gruppo di ricercatori di Ivrea, stessa area Olivetti, capitanati da Massimo Banzi) mi guardano straniti. Poi cominciamo a ragionare e parlarne e la loro fantasia si scatena e producono cose straordinarie.

L'anno scorso, ad esempio, con i ragazzi del Liceo “Ludovico Pepe” di Ostuni (BR) abbiamo costruito dei prototipi robotici che ci hanno consentito di partecipare a manifestazioni ( la RomeCup 2014 ) e fiere di innovazione ( la Maker Faire Rome 2014 ) di rilevanza internazionale.
La scuola ha un compito essenziale. Ad oggi, troppo spesso, reprime la creatività dei ragazzi.

Concludiamo chiedendoti quali sono le tre cose che più ti piacerebbe fare come DC di Caprarica di Lecce.
La prima è ragionare con l'Amministrazione Comunale (che ho già contattato) su sviluppo dell'infrastruttura della banda larga ed ultralarga e, magari, installare una Wi-Fi zone gratuita nel centro del Paese. La seconda è creare percorsi di alfabetizzazione digitale per chi è a rischio digital divide e la terza è diffondere la cultura del “coding” (programmazione) a partire fin dalle scuole elementari, affinché i ragazzi acquisiscano competenze ed abilità fin da piccoli.

Qual è un motto che rappresenta il tuo pensiero?
Il vincitore è un sognatore che non si è arreso” (Nelson Mandela)