Il graffitismo come ricerca e sperimentazione. La pittura di Massimo Pasca scandita dalla forza tribale del segno, trasposizione in immagini di una trance compositiva interiore che coinvolge i sensi e le percezioni della realtà che, attraverso la sua straordinaria dote di codifica/decodifica, riesce a tramutare nella forza espressiva del segno. Il tratto come catarsi. Entrare in uno stato di trance per inglobare il mondo e "sputarlo" fuori attraverso la lampante brevità del tratto; potenza espressiva e liberazione.
La pittura si trasforma in una danza magica, libero sfogo per la potenza semantica del suo tratto.

Parlare di Massimo Pasca vuol dire intraprendere un percorso d'astrazione dal proprio corpo svelando, passo dopo passo, le primordiali entità che vanno a comporre le svariate sfaccettature del nostro io.
L'essere in rapporto col mondo. C'è prontezza di rappresentazione. L'atto creativo rifugge la tradizione pittorica europea, quella giunta fino all'Ottocento, e, in sé per sé, fugge da ciò che è cultura occidentale.
L'approcciarsi alla realtà assunto nel corso dei secoli dall'apparato culturale/accademico europeo va ricercato in un approccio rappresentativo della realtà, nella parola scritta che sceglie un assetto fonetico di rappresentazione, rapportandosi al suono ed estraniandosi dall'immagine.
C'è una fuga del testo dall'iconografia nel sistema di rappresentazione della cultura europea.
Questo fin dai tempi antichi, dalla Grecia a Roma ai giorni nostri.
La differenziazione come specificità, dunque.
È un viaggio che ci porta nelle sperimentazioni del '900, ma raggiunge il suo apice con l'avvento della strada, le sue implicazioni metropolitane.
Si parte dalla millenaria cultura ideografica orientale per giungere alle strade ed alle realtà metropolitane statunitensi.
Si prosegue con l'immergersi nell'alienazione alla quale la società moderna ha sottoposto i piccoli centri allo stesso modo delle grandi aree metropolitane.
A questo punto nasce un connubio che vede inserirsi il tratto di Massimo Pasca a metà fra Pollock e Haring, stringendo fra le mani la forza per potersi evolvere in un ripetersi senza fine di passato e futuro.
Il gesto, che nel suo essere diretto fugge dalle prospettive tipicamente europee, nell’apparenza della semplicità si “appiattisce” entrando in un gioco paradossale che porta al suo arricchimento semantico, facendosi rappresentazione immediata della realtà come di una sensazione, avvalendosi dell'impalpabilità di una percezione.
È come una trance figurativa, entrare, appunto, in uno stato di astrazione da noi stessi per raggiungere una nuova visione del mondo, completa, per poter raggiungere una comprensione del mondo diretta come un'emozione, semplice come lo scaturire di un sorriso sul volto di un bambino.
Il tratto diventa catarsi, liberazione dalle ansie metropolitane, filo conduttore fra la primordialità del graffitismo e la modernità che ci circonda.
Tutto ciò è reso possibile dalla capacità di codifica/decodifica di cui Massimo Pasca è dotato. Entrare in uno stato di trance carpendo i dettagli del mondo, decodificandolo e codificandolo col suo personale alfabeto che è ricerca fra primordialità del segno e rappresentazione della realtà moderna, per una pittura che ci porta lungo un percorso eternamente in bilico fra il passato ed il futuro. Generarsi e rigenerarsi, la pittura di Massimo Pasca come una genesi del mondo che non ha fine.
Il rapporto continuo fra passato e futuro reso, dunque, possibile dalla primordialità del segno e dalla realtà che ci circonda si arricchisce di un certo senso "barocco" che si affaccia nell'arte di Pasca, caratterizzato dall'uso di una lunga serie di linee, fitte, che si presentano nelle sue opere amplificate dal tratto lampante, forte, che conferisce una cifra stilistica del tutto personale all'opera di Pasca.
E, per esplicitare il tutto, mi piace ricordare questa frase dello stesso Pasca:

"...il mondo è il tempo per dormire, il resto passa e lo vedi, l'arte non sente il tempo perché la senti..."

È proprio così. Il ritorno alla primordialità, all'essere bambino, perché Pasca dichiara di voler tornare ad avere sempre tre anni ogni volta  che dipinge, attraverso un'astrazione da sé che rende il gesto pittorico come pura liberazione.
Scorrere lungo le vie del tempo senza subire il passare dei secoli.

Si potrebbe accostare la sua pittura a quella di Haring entrando nell’errore, perché sì, parte da Haring, ma va oltre, inserendo semanticità barocca e tipologie da fumetto.
È un gesto che va da Pollock ad Haring inglobando dentro sé la lezione di fumettisti italiani come Andrea Pazienza e Magnus (Roberto Raviola).
Dei due autori fa suo lo stile, trattenendo nelle sue opere quel tratto fumettistico che le porta a percorrere un filo sottile fra ironia e macabro, rapportandosi, così, molto da vicino con l’arte di Magnus ed il suo Alan Ford, lungo le vie del grottesco che nella pittura di Massimo Pasca si manifesta attraverso le visioni della realtà che, puntualmente, vengono svelate, smascherate, portate alla luce in un contesto di urbanizzazione dell’io.
Esistono motivi che vanno a braccetto con la pittura di Haring ed il fumetto e confluiscono, di forza, nell’opera di Massimo Pasca.
Dagli aspetti grotteschi del reale alla sessualità esplicitata come simbolo ed oggetto del quale, la società, non si scandalizza più ed assimila, appunto, come simbolo ed oggetto lungo le vie di una provocazione che assume connotati urbani attraverso il degrado ed il graffitismo.
L’ironia è cortina sottile che nasconde il macabro che ristagna nelle paure raccontate attraverso tonalità forti e linee lampanti che ne amplificano la portata semantica, ma è anche mezzo che, coniugato al macabro (che essa stessa tende a nascondere), si fa denuncia delle paure e delle realtà di questa società, accogliendo a piene mani la lezione di Andrea Pazienza che diceva di sé:

«Prima di fare fumetti dipingevo quadri di denuncia. Erano tempi nei quali non potevo prescindere dal fare questo. Ma i miei quadri venivano comprati da farmacisti che li mettevano in camera da letto. Il fatto che il quadro continuasse a pulsare in quell'ambiente mi sembrava, oltre che una contraddizione, anche un limite enorme».

Il corpo, nella fattispecie, assume caratteri di preponderanza facendosi anch’esso paura ed ironia nella materialità dell’essere.

Massimo Pasca, laureato in Conservazione dei Beni Culturali presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Pisa, città dove vive e lavora, con una tesi su Pierpaolo Pasolini, dipinge dall'età di tre anni e dichiara di voler tornare ad avere sempre tre anni ogni volta che dipinge.
Come molti artisti, ha fatto del corpo un atto creativo, il gesto, in sé, è arte, portandosi appresso un certo senso, peso, del gestualismo di Pollock.
Massimo Pasca ha fatto questo. Va oltre. Dice - il corpo è il luogo preposto per l'arte, è l'ultimo rifugio dove vive l'inspiegabile.

Ha esposto in Italia e all'estero, realizzato numerose performance di pittura dal vivo  dipingendo per
collezionisti privati, istituzioni, centri sociali, cineclub, teatri, musicisti.
Nel '98 realizza un'opera di 40 metri quadrati che resta esposta per un anno nell'atrio della Stazione Centrale di Pisa. Sempre nel '98 vince il Premio di Pittura D.S.U. (Diritto allo studio Universitario). Passa dal surrealismo all'informale. Intervistato da numerose testate giornalistiche ed emittenti televisive, fra le altre Mtv che nel 2007 lo intervista facendolo parlare della sua visione di arte contemporanea.

Francesco Aprile