Il legame fra passato presente e futuro resta termine inviolabile per la comprensione del presente e la possibilità di posare sguardi oltre e ammiccare al futuro. Pietre di paragone, nel corso di queste righe, saranno i rituali di possessione, nella fattispecie Derdeba e Tarantismo, come termine ultimo che possa individuare nella loro evoluzione, analizzata seppur in minima parte (non è questo articolo la sede adatta), momenti tipici dei giorni nostri ed in modo più mirato in rapporto alla condizione socio-culturale salentina nel biennio 2008/09 pensando, magari, a ciò che verrà per quest'imminente 2010.

Il rituale della Derdeba è un rituale di possessione, diffuso in tutto il Maghreb, che assume connotazioni diverse a seconda delle regioni nordafricane in cui si svolge. In particolare, la Derdeba fa riferimento a Marocco, Tunisia e Algeria. Il rituale preso qui in considerazione corrisponde alla Derdeba degli Gnawa del Marocco.
Nonostante le dovute differenze, i rituali di possessione presentano caratteristiche in comune, rientrano, infatti, nei casi di Transe conosciuti e diffusi nelle aree mediterranea, nero-africana, asiatica. Le prime ricerche sulla Derdeba risalgono al 1736 ad opera del medico francese Fraçois Boissier De La Croix che identificò il fenomeno come distubo mentale, indicandolo sotto il nome di Tarantismus Tingitanus Sive Le Janon. La Derdeba nel corso degli anni ha dovuto affrontare la preoccupazione dei praticanti di doverla inscrivere nell'ambito religioso islamico, qualcosa di simile è avvenuto, col tempo, anche per il Tarantismo Salentino che ha visto introdotti al proprio interno simboli propriamente Cristiani come, ad esempio, il culto di San Paolo.

Scriveva, Georges Lapassade nel suo "Derdeba. Viaggio tra i rituali di possessione del Maghreb" (Besa), che «Le culture della diaspora hanno in comune il fatto di mescolare le tradizioni dei paesi dei quali gli antichi schiavi sono originari. Per quanto riguarda la diaspora dei neri e di certe forme culturali e musicali elaborate nei paesi occidentali come il blues, il reggae e più recentemente il rap, l'Africa annovera gli esempi più eloquenti di questo processo. [...] Ma il loro (Gnawa del Maghreb) posto nella vita culturale della città è del tutto eccezionale. Mentre altrove sono emarginati, qui invece essi occupano uno spazio privilegiato: il loro repertorio musicale è conosciuto da tutti e molti sono i giovani che padroneggiano l'arte del guembri (liuto a tre corde usato nei rituali Gnawa) e lo usano regolarmente - come altri suonano la chitarra - per animare le serate in città e presso gli artisti e gli intellettuali residenti nella regione che hanno da lungo tempo preso l'abitudine di invitarli presso di loro. Il Living Theatre che soggiornò a Essawira nel 1969 fece la stessa cosa, e facendo ciò esercitò su alcuni di loro un'influenza decisiva. Uno di questi sarebbe entrato, un po' più tardi, nel gruppo folk dei "Nass el Ghiwane" che avrebbe consegnato l'arte degli Gnawa a un pubblico internazionale».

In realtà, ciò che affronto in quest'articolo non sono la forma o le condizioni di possessione nei due diversi rituali, bensì, lo stadio ultimo della loro evoluzione, ovvero, ciò che rappresentano sempre più ai giorni nostri, in riferimento, dunque, al Tarantismo ed alla situazione del Salento. Mi preme sottolineare, a questo proposito, l'espressione di Lapassade, contenuta nel precedente passaggio, in cui lo studioso sosteneva che «molti sono i giovani che padroneggiano l'arte del guembri e lo usano regolarmente - come altri suonano la chitarra - per animare le serate in città».
Questo passaggio di Lapassade è significativo per evocare una certa perdita, uno svuotamento del significato di possessione all’interno del rituale che si manifesta, oggi, sempre più forte, come un semplice aspetto folkloristico.
Derdeba e Tarantismo sono rituali di possessione, di Transe, terapeutici ed il nostro Tarantismo presenta caratteri simili al destino avuto dalla Derdeba. Spogliato anch’esso del suo valore terapeutico/possessivo è divenuto, ormai, fenomeno di intrattenimento delle masse.

Nella ricerca svolta da Maurizio Nocera in “Il morso del ragno. Alle origini del tarantismo” (Capone Editore) vengono individuate tutta una serie di tarantelle sviluppate nel Sud Italia e, anche, in Toscana. La ricerca si sofferma ed analizza il fenomeno che a noi interessa molto da vicino, ovvero, il Tarantismo Salentino, il fenomeno della Pizzica. A pagina 6 del libro “Il Morso del Ragno” è lo stesso Nocera a scrivere «Il fenomeno, inteso come ritmo terapeutico, si poneva come uno dei tanti modi naturali di liberazione dalle energie negative del corpo.»

Alla base della Pizzica è possibile individuare elementi contraddittori che, allo stesso tempo, sanno farsi complementari. Ed è proprio questo loro esistere allo stesso tempo, in contraddizione, nell’uomo a generare il fenomeno del Tarantismo. L’animale che contraddistingue tutto ciò è il ragno e nell’analisi di Nocera ci si spinge fino all’estremo, all’origine, realizzando un punto d’unione fra l’Oistros greco e la puntura del ragno che si fa estro, istigazione, possessione ed il ritmo della musica assume un ruolo catartico, liberatorio. Da qui, nasce il valore terapeutico del Tarantismo. Il Ragno/Oistros col suo morso arriva a possedere il corpo, scrive Nocera, «la possessione di un corpo da parte del ragno, sta a rappresentare le difficoltà della vita.»
Interessante è la citazione che Nocera fa dal “De Sensu Rerum et Magia” di Tommaso Campanella, Francoforte 1620, in cui Campanella scriveva «I Tarantolati espellono il veleno del ragno attraverso il sudore causato dal ballo, generato, a sua volta, dal ritmo della musica» ad indicare come fosse ormai assunto il potere terapeutico/liberatorio del ballo dei tarantolati.

Nel corso del tempo sono diventati sempre più rari i casi di Pizzica suonata, ballata, vissuta, a scopo terapeutico/liberatorio, il rituale si è svuotato ed ha perso il ruolo di catarsi, manifestando sempre più la presenza di chi suona i ritmi della pizzica, allo stesso modo di chi suona i ritmi della Derdeba degli Gnawa, «per animare le serate in città». Ciò che è subentrato è il fattore economico dell’intrattenimento, la vendita, la mercificazione delle tradizioni.

Scrive, in proposito, Franco Ungaro nel suo libro “Dimettersi dal Sud” «Poi arrivò la Notte della Taranta che svuotò subito di contenuti culturali la ricerca sulla tradizione musicale salentina, virando verso la spettacolarizzazione, il dionisismo massmediologico, il gigantismo e il sanremismo dell’evento, consegnando culture, identità e origini al gran bazar del marketing territoriale e annacquando l’alterità nella brodaglia del consenso delle folle oceaniche.»
Tutto ciò, con l’arrivo della Notte della Taranta, ha generato il deturpamento culturale, storico artistico del Salento; uno svuotare la Radice per spettacolarizzare l’Immagine.

Fra marketing e globalizzazione avviene che il Salento si nasconda dietro un finto recupero delle tradizioni, un mitizzarsi e murarsi fra le pareti del ricordo che brucia e si perde nella totalità del globale. Puntando su una singolarità che, nella dimenticanza delle vere tradizioni, ha in sé un certo senso di carnevalesco che va ad oscurare il reale significato di Salento Terra di Confine. Ovvero un luogo in cui nel corso dei secoli culture ed etnie diverse sono confluite lasciando tracce più o meno evidenti delle loro tradizioni, delle loro credenze, e che noi ci portiamo addosso nel nostro bagaglio esperienziale dovuto alla tradizione di una Terra che non dimentica nonostante la deriva mercificante del concetto stesso di tradizione. L’eccessiva singolarità dietro cui si nasconde il Salento altro non è che un omologarsi alle leggi del mercato globale. L’appiattimento totale.
Avviene così che questo senso finto/tradizionalistico portato all’esasperazione generi un graduale senso di alienazione in chi, giovane o meno giovane, si fa portatore di un altro Salento, chiamiamolo Salento Underground, nel quale organizzatori, gestori di locali, artisti, portano avanti e propongono un Salento diverso, fatto di influenze nuove che, una volta giunte in questa terra, assumono caratteristiche differenti, modellandosi sulle peculiarità del territorio e della storia locale.
Questa esasperazione ha concepito la fruibilità sempre crescente di gruppi di ricerca di musica popolare, o pseudo gruppi di ricerca, come spesso accade, che, oltre che banalizzare il fenomeno del Tarantismo, hanno contribuito a relegare all’estremità del margine gran parte delle realtà musicali che via via si andavano sviluppando nel Salento. Fra l’egemonia di Pizzica e Reggae (che gode dell’effetto traino del successo dei Sud Sound System) finiscono completamente o quasi completamente dimenticati generi e sottogeneri, appartenenti al rock, ad esempio, che vedono la lotta serrata di organizzatori e artisti, anche fra loro stessi, per poter emergere nei pochi spazi messi a loro disposizione.
In questo senso di alienazione vado a sottolineare la nota biografica da me scritta per la band salentina grunge-rock dei Teenage Riot (www.myspace.com/teenageriotband) nella quale, spinto dalla musica e dalle esibizioni della band, scrivo «Qui, non c'è posto per l'underground. Bisognerebbe esordire così. Tutto tace, si modella sulla schiena del nulla che non invecchia mai. Sibila il superfluo.

Avvenne come uno strappo su di un foglio di giornale, come sigaretta che si spegne e poi cenere. Sarebbe ipocrita, ed anche inopportuno, parlare di tutto questo come un'anomalia, una situazione atipica venutasi a creare nell'estate del 2007. Significherebbe non tener conto di una scena ed una cultura che da vent'anni a questa parte imperversa nel Salento e nessuno ascolta. Non ha voce, appunto, non c'è posto per l'underground. In questo clima di pizziche e tamburelli, ritmi in levare e positive vibrations c'è posto, anche, per una scena che colloca i suoi punti di riferimento negli anni '70 e '80, ma anche '90, della cultura musicale prettamente made in England & U.S.A.

Il recupero delle tradizioni locali tramutatosi, troppo frettolosamente, in una corsa al business senza freni ha contribuito, in primis, a generare una realtà alienata nella quale si muove e pulsa una scena intera.»

La band in questione, i Teenge Riot, è nata nel 2007, di conseguenza si è mossa, in questi primi anni in quelli che vado ad identificare come Snodo Cruciale di questa alienazione. Allo stesso modo si è sviluppato il fenomeno Ballaròck, «Nati nel 2007 dall'idea di Filippo e Gabriele, riuniti sotto l'etichetta "Ballaròck", portano in giro il loro amore per la musica nella forma di una vera e propria discoteca rock.
Per chi è stanco del solito accostamento, Salento-Pizzica-Regae, ecco i Ballaròck che propongono un viaggio in ogni angolo del rock. Cresciuti a suon di grunge girano il Salento portando una serie infinita di brani rock affiancati dai corrispettivi video o da altri ancora, che ne risaltino l'impatto visivo ed emotivo.
Dagli anni '60 ai giorni nostri c'è tutto il rock che si possa sperare di trovare. Beatles, Rolling Stones, Cure, Subsonica, Blur, Strokes, Red Hot, Queens of the Stone Age, Nirvana, System of a Down, Verdena, Marlene Kuntz e tantissimi altri.» (da www.salentoinlinea.it).
Dal diffondersi del fenomeno della discoteca rock come contr’altare ad un mondo fatto di pizziche, discoteche vere e proprie che propinano house e simili, dance hall, si passa ad un mondo sotterraneo che reclama, ormai, in questo 2009 il suo spazio e lo fa con forza sempre maggiore.
Il recupero delle tradizioni non è più recupero, ma esasperazione, dovuta soprattutto al mascherare eventi pomposi e di scarso valore culturale e di recupero delle tradizioni, ha portato ad una sorta di repulsione per ciò che oggi viene professato come Pizzica. Basti pensare a due eventi tenutisi contemporaneamente al concerto finale de “La Notte della Taranta”.
Il 22 agosto 2009, infatti, due eventi di matrice rock si sono contrapposti alla Taranta presentandosi coi seguenti nomi:

-Kill the taranta, presso il Parco Gondar a Gallipoli con i live di Dreker, Evilcrosses, Teenage Riot, e la simbolica rottura di un tamburello sul quale era dipinto un ragno, come metafora dell’uccisione della Taranta.

-Uccidi la taranta, presso il Cotriero, sempre a Gallipoli, con i live di Studio Davoli e The Slips.

Viene generato un contesto culturale, per quanto riguarda l’ambito musicale, in cui viene perpetrato un finto stereotipo salentino che si fa portatore di alienazione, male del vivere e dissenso.
C’è, dunque, una scena che vive e pulsa e, forse, si genera da sé a cavallo di questa alienazione o, addirittura, è da essa che si genera e di essa si nutre. Alienazione, dunque, che si fa, allo stesso tempo, forza generatrice e freno di una realtà che da essa nasce e da essa viene frenata, costretta a macinare strada lungo gli spiragli dell’esistere culturale salentino.

 

Francesco Aprile