Corpo poetico irrisolto, opera prima di Rossano Astremo, pubblicato nella collana Poet Bar (Besa) a cura di Mauro Marino, è l’espressione del sistema poetico, il paradosso delle parole.
Quanto c’è di irrisolto, poi, in una poesia? In un articolo apparso sul Quotidiano di Lecce, con il quale Astremo collabora, è lo stesso autore, parlando della ripubblicazione de “I Trofei della Città di Guisnes” di Antonio Leonardo Verri (Abramo Editore), a scrivere:

«poiché il franamento della parola nel nulla dei significati è il fallimento del proprio pensiero e della propria visione del mondo».

Ora, avviene che a scorrere le pagine di questo Poet Bar si venga catapultati in un mondo che è metafora e simbolo di un sentire, avvertirsi come slegati dall’(ir)risolto (dis)senso di un fluire che rifiuta di esser canonico e, invece, sfocia in un divampare, letteralmente, parole come un vomito che è fuoco, che è passione, ridondante come i codici della moderna informazione, ma dosati, i codici, con mestiere nelle strettoie surrealsimboliste proprie dell’anafora ed il suo “rincarare la dose”.
C’è una musicalità che è delirio, un fluttuare nell’aria di conati di vomito come fremiti di istanza creativa, di notti che si accasciano al cospetto di uno sregolarsi lucido delle parole.

Quanto c’è di irrisolto, poi, in una poesia? L’irrisolto è la forma della sua definizione.



Francesco Aprile