Cineforum targato Penny Arcade presso l'ex Convitto Palmieri, a Lecce, venerdì 26 febbraio dalle ore 20.30.

Tokyo sonata
2002, Giappone, colore,119min
di Kiyoshi Kurosawa, 2008

Nel panorama del cosiddetto j-horror, i film di Kurosawa Kiyoshi sono sempre stati qualcosa a sé stante. Da Kairo a Bright future, da Charisma a Doppelganger, i suoi film erano qualcosa di completamente diverso, caratterizzati da un gusto spiccato per l'inquietudine, ed opposizioni tematiche da rebus filosofico-metafisico. Oltre che da uno stile inconfondibile.

Kurosawa ha abbandonato l'horror: Tokyo Sonata è infatti un dramma le cui vicende ruotano intorno a una famiglia di quattro elementi: il padre che ha perso il lavoro ma non vuole rivelarlo alla moglie, il figlio minore che vuole suonare il piano a tutti i costi ma gli viene impedito, il figlio maggiore che fa volantinaggio e sogna di arruolarsi nell'esercito americano, la madre che vive la sua frustrazione di casalinga. Ma anche in questo contesto inedito, "realista" tra virgolette, Kurosawa mostra una maestria e una cura impressionanti.

E' interessante vedere come la sua esperienza del tutto unica nel cinema di genere, esca a piccoli accenni ma non cannibalizzi l'attenzione su un film capace di vivere di vita propria come dramma familiare. Ma anche qui, la tematizzazione è forte: Tokyo Sonata è prima di tutto un film sulle seconde occasioni, in cui il contesto storico del Giappone odierno è perfetto per raccontare di come per voltare pagina sia spesso necessario attraversare il trauma più estremo. Rinascere, insomma, dalle proprie stesse ceneri.

Tokyo Sonata è anche un film che mostra una delle più laceranti dissoluzioni familiari del cinema recente, raccontate attraverso uno stile chirurgico che accompagna la violenza quotidiana, quella che si vive in famiglia, con uno stile che non ha fretta e che centellina le emozioni con un'attenzione a rendere significativi dettagli che normalmente sarebbero marginali. Kurosawa sonda con questa storia il lato oscuro della natura umana e dei problemi sociali che si pongono nel Giappone contemporaneo.

La sequenza finale, che chiude la questione del "realismo", appunto tra virgolette, con la scelta geniale di quella inquadratura fissa quasi surrealista e della "uscita di scena" dei personaggi, è tanto un inno di speranza quanto uno sguardo cinico e spietato su una società come quella nipponica. Se i film di Kurosawa si concludevano spesso con l'Apocalisse, qui si sente il peso della sua assenza. Quasi come se l'Apocalisse, da quelle parti, più che attesa - fosse la benvenuta.