Uno dei più importanti siti archeologici del Salento è quello di Roca Vecchia.
 Gli scavi effettuati hanno riportato alla luce una serie di resti del passato stratificati, che dimostrano il passaggio di numerose civiltà, tanto da fare di Roca un luogo di studi storico-archeologici tra i più interessanti dell’intero Mediterraneo.
Prima ancora di divenire centro della civiltà Messapica, Apuli e abitanti locali risalenti all’età del bronzo hanno lasciato le loro tracce.
Tra le rovine messapiche del IV secolo a.C.  ben visibili sono la cerchia muraria che difendeva la città verso terra (circa 1200m di blocchi regolari tra i quali si vedono una porta e due torri quadrate), il fossato e la necropoli.
Nella grotta naturale della poesia piccola, luogo di culto sin dal Neolitico e intorno a cui sorse Roca, sono state ritrovate numerose scritte messapiche e greche che costituiscono una vera biblioteca murale del passato.
Vasi, anfore, monete, ornamenti di fattura messapica e greca, rinvenuti soprattutto negli scavi delle tombe, sono conservati nel Museo Provinciale “Sigismondo Castromediano” di Lecce ed in quello Nazionale di Taranto.
Di fronte al Santuario sono ben visibili i resti del porto che ebbe un’attività intensa in epoca romana. Dagli scambi di legname deriverebbe il toponimo di “Portu ligniu”. La famosa via Traiana passava da Roca per giungere a Otranto.
Lungo tutta la costa alta di Roca Vecchia si possono visitare – alcune ben conservate – le lauree basiliane. Le lauree sono grotte in parte naturali e in parte scavate dall’uomo che vi trovò rifugio nel Medioevo. In seguito alla lotta iconoclasta, nell’VIII secolo d.C., numerosi monaci, fuggiti dall’Oriente perché non si piegarono all’editto dell’imperatore bizantino Leone III che ordinò di distruggere tutte le immagini sacre, approdarono sulle coste dell’Adriatico e si rifugiarono così nelle lauree. Per opera dei monaci si diffusero da noi molte immagini sacre, in particolare della Madonna, che vennero onorate dalla popolazione con culto greco.
Tutto intorno all’antico porto di Roca si possono vedere i resti di queste antiche grotte. In alcune di esse sono ben visibili camere, nicchie, colonne ricavate dalla roccia, pozzi con funzione di deposito, sedili in pietra, lucernari e altro ancora scolpito nella pietra.
In alcune zone, anche dell’entroterra, le numerose lauree costituiscono dei veri villaggi rupestri.
In seguito queste grotte sono state utilizzate prevalentemente dai pescatori.
Sovrapposto ai resti della città messapica, a strapiombo sul mare, vi sono i ruderi del castello medievale del XIV secolo, fatto costruire da Gualtiero VI di Brienne. Distrutto dai turchi nel 1480, il castello-fortezza fu quartiere generale di Alfonso d’Aragona durante la liberazione di Otranto l’anno dopo.  
Secondo la leggenda, i turchi sarebbero entrati nell’antica rocca di notte, attraverso la grotta della poesia piccola che divenne la grotta “del tradimento” o della “prodosia”.
Gli abitanti del borgo medievale di Roca Vecchia fuggirono, in seguito alle varie devastazioni, nei paesi vicini.
Alcuni di essi fondarono Roca Nuova nell’entroterra. Un piccolo castello e la cappella di San Vito del 1589 ne costituiscono il nucleo principale, abitato fino al secolo scorso. Il castello e il borgo di Roca,  ormai quasi abbandonati e facili covi di briganti, furono demoliti nel 1544 dal governatore di Terra d’Otranto Ferrante Loffredo per conto di Carlo V.
Intorno al 1567-68 sorsero sulla costa adriatica una serie di torri d’avvistamento e difesa. Tra queste vi è la torre di Roca che fu eretta isolata da un canale tra le rovine del castello e il mare.
La chiesa di Roca Vecchia, costruita nel 1690, è divenuta Santuario Mariano Diocesano nel 1969. Di fronte al Santuario, nei pressi della poesia, si erge una colonna con la statua della Madonna.
La piccola chiesa a tre navate, ricavata probabilmente da un’antica laura, è stata costruita sotto il livello della strada. Il Santuario è tuttora meta di pellegrinaggi.
Millenni di storia stratificata rendono questo posto interessante e affascinante, ricco di misteri e, al tempo stesso, fuori dal tempo.


    A cura di Stefano Bonatesta