Reali vicende storiche sembrano stare alla base del racconto erodoteo sullo sbarco sulle coste della puglia da parte di naufraghi cretesi, reduci dalla spedizione contro Camico.
In recenti campagne di scavo presso Rocavecchia, località sulla costa pugliese dell'Adriatico, sono state trovate ingenti quantità di materiali databili fino al Submiceneo; trattasi di ceramiche, nelle quali una buona parte sono di origine minoica, uniche, sia nella loro particolarità stilistico-decorativa che nella loro peculiarità fra i ritrovamenti di tutta Italia.
Questi sono i documenti che ci attestano primariamente i traffici della Puglia col vicino Oriente nell'Età del Bronzo, ma più in particolare con Creta.
Le prime occupazioni da parte dell'uomo, in età Protostorica nel territorio di Roca, sono presumibili non più tardi del Bronzo Medio. Sono infatti attribuiti alla facies protoappenninica i reperti rinvenuti negli strati più profondi, a stretto contatto con la bancata calcarenitica. Era consuetudine, in quel periodo, creare delle imponenti strutture difensive in qualsiasi villaggio, ma le mura costruite intorno al territorio rocano sembrano differenziarsi da ogni altro sito italiano per la loro imponenza. La loro lunghezza, infatti, arriva anche a misurare i 20 m nei punti centrali e più esposti a possibili attacchi. Inoltre, queste colossali strutture presentano tecniche costruttive analoghe a quelle dei territori vicino orientali ed egei. Queste ultime vanno ad influenzare anche l'organizzazione degli spazi interni alle mura di Roca. La storia di queste mura presenta principalmente due fasi costruttive, con annesse delle piccole sottofasi che ne determinano la vita, ognuna di queste è mirata al potenziamento di queste ingenti strutture. Nonostante la grossa potenzialità difensiva, queste mura furono quasi completamente rase al suolo da un violento incendio dovuto all'abbondanza di costruzioni in legno finalizzate a sorreggere i paramenti murari dei vani interni, avvenuto nel Bronzo Medio 3, forse in conseguenza ad un attacco esterno.
Gli effetti di questo incendio furono senza dubbio drammatici, da come si può determinare dal ritrovamento di scheletri di nove individui colpiti da morte repentina e violenta, di sesso ed età vari, rimasti insepolti in alcuni dei vani interni della fortificazione. Sette di questi sono stati rinvenuti nella postierla C, uno nella postierla B. Queste postierle, al momento dell'assalto, sono state sbarrate e trasformate in rifugi da individui che facevano parte della popolazione, come ci suggerisce la loro età, il sesso, la posizione al momento della loro morte, dovuta sicuramente ad asfissia. L'ultimo di questi nove individui, invece trovato in una delle porte principali, pare avesse avuto un ruolo attivo nell'assedio. I suoi resti sono stati trovati nei crolli delle mura, malridotti, quasi interamente calcinati per l'esposizione al sole. Lo scheletro apparteneva ad un individuo maschio di 18-20 anni, e molto probabilmente morì subito dopo essere stato colpito da un'arma da taglio, da come si può desumere da una lesione sulla costola lombare. Molto probabilmente quest'individuo era un guerriero che partecipava ( per attacco o per difesa ) attivamente allo scontro dal ritrovamento, accanto allo scheletro, dell'unica arma trovata all'interno delle fortificazioni. Si tratta di un pugnale dalla lama piatta, priva di costolatura mediana, a base semplice, senza codolo ne lingua da presa per il manico. Questo pugnale rappresenta un altro elemento di analogia con Creta, poiché il modello è totalmente estraneo ai modelli indigeni, ma al contrario è molto diffuso a Creta e su tutto il Continente greco del Bronzo Tardo. Accanto al pugnale è stata rinvenuta una scultura ornitomorfa di avorio d'ippopotamo, probabilmente una "duck pixis", una parte di pisside a forma di anatra, in questo caso mutila. Questo reperto è molto importante per più ragioni: costituisce la più antica attestazione di un manufatto di avorio d'ippopotamo nell'età del bronzo d'Italia. Nel XV - XIV secolo a. C. le duck pixides sono diffuse in Siria, in Palestina e a Cipro ma sono rare a Creta e in Grecia continentale protomicenea. Nonostante la bassa diffusione a Creta, il nostro frammento sembra provenire da quì per molteplici ragioni; Creta è infatti l'unica in cui sono attestati esemplari di così piccole dimensioni e comunque è poco attendibile il fatto che ci siano importazioni dirette dal Mediterraneo Orientale. Inoltre già dal III millennio a. C. è attestata a Creta la presenza di un artigianato che produceva sigilli dello stesso materiale. Il ritrovamento di questo manufatto è stato particolarmente significativo per lo sviluppo di alcune ipotesi sulla sua origine. Potrebbe infatti esserci stato un mercato d'importazione (Minoica) della materia prima, per poi essere trasformata in scultura da manifatture locali. Le competenze artigianali potrebbero essere state trasmesse infatti da matrice Minoica.
Ma sono anche stati rinvenuti materiali d'importazione egea da alcuni saggi stratigrafici all'interno dell'abitato, che hanno raggiunto i livelli del Bronzo Medio. Molti di questi frammenti ceramici sono attribuibili facilmente ad una matrice Minoica: anche se è poco riconoscibile la loro forma originaria, questi hanno delle decorazioni tipicamente cretesi. Vi sono anche due vasi di forma chiusa ornati con conchiglie di triton sulla spalla e un frammento decorato con foglie di papiro stilizzate, anch'esso tipicamente cretese.
Anche fra i ritrovamenti relativi al Bronzo Recente di importazione egea ci sono elementi confrontabili con le produzioni minoiche. Tra i reperti abbiamo una brocca decorata sulla spalla con motivi floreali, e numerosi, significativi frammenti riferibili a giare a staffa del tipo detto coarse, rarissime all'interno del mediterraneo, cosiddette perché sono fatte di una pasta ceramica più grossolana e ricca d'inclusi, hanno delle dimensioni medio grandi, e le decorazioni sono più semplici. Questi contenitori sono destinati al trasporto di derrate alimentari liquide, come olio e vino. Servivano in effetti alla commercializzazione di questi prodotti e venivano fortemente utilizzati per i traffici e nel Mediterraneo Orientale. Sono stati trovati esemplari simili anche a Micene, appunto nella casa del mercante d'olio e del mercante del vino. Dalle analisi archeometriche si è stabilita la lavorazione di queste argille in officine minoiche.

Un enorme edificio, largo circa 15m e lungo circa 45m, è stato scoperto nell'area meridionale dell'abitato, risalente al bronzo finale. Sicuramente non si tratta di un edificio abitativo, ma di un edificio a scopo cultuale, infatti è stato identificato come capanna-tempio. Questo è un tipico edificio cultuale indigeno, coinvolto, insieme al resto del villaggio, nel grave incendio del bronzo finale. Sul pavimento, coperti da uno strato di ceneri generate dall'incendio, sono stati riportati alla luce importanti materiali, tra i quali le ossa di alcuni animali: tre maiali ancora in connessione anatomica che ci indicano la possibilità di un luogo in cui si svolgevano sacrifici. Vi sono inoltre, tracce di "altari a terra" attestate dalla presenza di piattaforme di calcarenite e argilla. Questi altari erano molto diffusi in terre egee, a Cipro e nel Vicino Oriente. Probabilmente sono strumenti utilizzati per compiere i sacrifici, i coltelli, una punta di lancia e una doppia ascia di bronzo, trovati nelle vicinanze dei resti animali. Di rilevante importanza è la doppia ascia, un'arma inconsueta per le popolazioni indigene dell'età del bronzo: a tagli paralleli ed occhio biconvesso. Le doppie asce ritrovate nella penisola italiana sono considerate d'importazione sarda; ma il caso di roca è unico in tutta la nazione ed è probabilmente d'importazione egea. Lo strumento trovato in un ambiente sicuramente cultuale, riveste particolare importanza all'interno della simbologia religiosa minoica: era cioè simbolo divino di palingenesi e strumento di sacrificio. In alcune arti minoiche la doppia ascia è spesso associata al bucranio, un altro elemento importantissimo per la sua sacralità. Spesso nelle arti figurative minoiche, è rappresentato il toro (animale al vertice della gerarchia sacra) e la doppia ascia riversa sul capo dell'animale, a voler forse indicare il sacrificio. Lo stesso schema è fedelmente riprodotto con graffiti sulle pareti della Grotta Poesia a Roca, di cui fanno parte anche graffiti di doppie asce isolate, riprodotte con schema a farfalla tipicamente cretese (due triangoli contrapposti e uniti al vertice). Probabilmente la Grotta Poesia, luogo di culto nel Neolitico, simboleggiava nell'età del Bronzo un luogo di sacrifici per le divinità.
Il ritrovamento nella capanna-tempio di alcuni esemplari di vassoi tripodati, ha fatto scaturire ancora ipotesi circa rapporti tra Roca e Creta. Questi vassoi infatti sono inusuali per gli indigeni ma frequentissimi a Creta, di solito usati come piccoli altari mobili. Sono decorati con simboli che si collegano al sole come svastiche e cerchi crociati.
Infine, rinvenuta vicino la capanna-tempio, è un'olla troncoconica con la decorazione plastica di un serpente, anch'essa tipicamente Minoica e scarsa nella produzione indigena.
 
 
Roberta Gaetani
30/07/2010