Prosegue la mostra del movimento letterario New Page fondato da Francesco Saverio Dòdaro. Da venerdì 15 ottobre, a Lecce presso il Fondo Verri (via Santa Maria del Paradiso, nei pressi di Porta Rudiae), dalle 19.30 saranno esposte opere di Teresa Lutri e Francesco Aprile, inedite, non ancora pubblicate in store.


 
 
 
Sono 14 i testi, di chi qui scrive, nell'ambito del Movimento Letterario New Page, fondato da Francesco Saverio Dòdaro. Sono 16, invece, i lavori di Teresa Lutri. Lavori all'interno dei quali si è tentata, insieme, una rielaborazione del sistema di punteggiatura oggi in uso. Sulla scia di quanto affermato dal fondatore del movimento con la stesura del primo manifesto, in cui scriveva «Centoparole e un diverso apparato pausativo», si è partiti con il riutilizzo del segno di interpunzione più forte. Il punto. In un tentativo di totale adesione al corpo. Una punteggiatura. Una sintassi che, nell'uso del punto, richiama a sé l'elaborazione della prosa spontanea della Beat Generation, come ha scritto, anche, Andrea Donaera - giovane e valente poeta gallipolino - ovvero «La punteggiatura è figlia della Beat Generation, ma più tesa e mozzafiato»(2010/08/21). In un tentativo di frazionare il testo per conferire una musicalità che possa essere relazionata al ritmo del corpo e della società e delle parole, come evoluzioni tecnologiche, che si manifestano come protuberanze, continuazioni dell’oggetto-corpo.
Le pagine dell’oggi sono il corpo, le pause i silenzi, i linguaggi di ora si relazionano fra commistioni di generi e tecnologie in virtù di una società globalizzata in cui l’altro è nell’abbraccio stretto delle nostre diversità, articolato fra il respiro delle parole, contaminate da esperienze lessicali la cui matrice è il mondo, ed il mezzo è l’incontro totale. Spostare il raggio, il braccio dell’attenzione, fa in modo che le parole, pur essendo su carta, diventino l’esatta trasposizione dell’unico foglio che la natura umana ha a disposizione fin dalla nascita, un a priori kantiano, materializzato fra nervi carne e muscoli del corpo. Il corpo.
Oltre il punto. Oltre. E ancora. Scorrendo lungo le vibrazioni della virgola. Segno di pausa debole. Che difficilmente può tradurre in modo adeguato lo spazio testuale del corpo nella trascrizione fisica dell’ora. L’oggi, necessita di uno spazio letterario diverso. Nuovo. Di un apparato pausativo riconsiderato di conseguenza. Fra le pagine di interminabili contaminazioni figlie - anche - dell’atto visivo contaminativo dell’arte pop di Andy Warhol, pensata nell’epoca della riproducibilità tecnica. Oggi, l’apparato pausativo ha la necessità, l’urgenza, di un respiro techno-pop violentato dalle esperienze postpunk del ritmo (nella piena considerazione ritmica di ciò che è stato ed è, dai primi blues al jazz della Beat Generation, dal punk per accedere al filone elettrico-rock-dark del postpunk sillabato da una no wave nutrita di noise), il tutto espresso con la simmetria di un assetto sintattico elettronico/informatico figlio delle nostre più recenti propaggini etimologiche. Nella piena espressione della nostra etimologia della carne. È necessaria l’acquisizione di nuovi codici sintattici appresi, direttamente, dai linguaggi provenienti dalle frontiere logistiche dell’elettronica e dell’informatica, per una punteggiatura tesa, slabbrata, sulle corde vere dell’agire e sentire del corpo. Così, avveniva che, senza sapere l’uno cosa stesse facendo l’altro, venissero fuori due testi. Due New Page (datate fra aprile e maggio 2010) una a firma di Teresa Lutri dal titolo “Solita bottiglia ennesima”, scritto quasi in concomitanza con un mio testo dal titolo “Il Divo” – che fino a quel momento lei non aveva letto (teorizzando entrambi la stessa tensione e commistione nella punteggiatura) – (Il Divo) testo che fu a mente fredda escluso dalla pubblicazione per evitare inutili polemiche, introducevano i due testi la sostituzione sistematica della virgola in situazioni in cui una pausa, forte, rappresentava un eccesso, una pausa, debole (la virgola), si dimostrava impercettibile alle modalità dei testi, mal imponendosi come perfetta propaggine del linguaggio corpo, si faceva necessaria l’introduzione dell’underscore (il trattino basso _ ), direttamente dai linguaggi informatici, a stabilire un contatto forte, ma non di ferma divisione, accentuando, invece, la continuità, la giusta sospensione della tensione del corpo fra parola e parola. Utilizzato nel testo di Teresa Lutri come introduzione di ogni incipit, o meglio, è la punteggiatura, nel caso specifico, a farsi incipit del testo stesso, a modularne l’introduzione, l’introiettarsi del testo che ritorna al corpo dopo essersi fatto propaggine esterna dei nostri arti, della nostra carne. A modulare la giusta sospensione fra corpo tempo e parola. Fra il respiro e l’uscita delle sillabe dal corpo. L’adrenalina che si fa mozzata, a metà strada fra l’uscita e l’insuccesso dell’esplosione, tramutando il testo in un’atmosfera d’infermità caratteristica dell’oggi, di quell’atmosfera terrorizzante nella totale assenza di una prospettiva di futuro. Come uno sparo inceppato nella canna di un fucile. L’incedere incespicante di una pistola rotta. Il singhiozzo grafico del testo eseguiva alla perfezione il suo compito di estensione del corpo e delle sue premure. Col mio testo, Il Divo, l’underscore spostava la sua utilizzazione da quella di incipit che aveva avuto in Solita bottiglia ennesima. Entrava in un meccanismo di sostituzione della virgola in situazioni in cui, questa, non innescava in modo adeguato la successione e conseguente frattura fra le parole, facendosi, invece, portavoce delle frantumazioni esistenziali che si susseguono nel percorso della vita, entrando nel discorso come i tempi e le congiunzioni fra tempi e tempi accedono al corpo umano ed alle sue vicende. Scandendo il ritmo delle parole in relazione, non al mondo, ma al loro porsi nel mondo. Un relazionarsi, dunque, nel relazionarsi. Il percorso di rinnovamento dell’apparato pausativo prosegue con l’introduzione di uno stratagemma sintattico che è proprio della comunicazione giornalistica. Il sistema in questione, un tempo molto in voga all’inizio di un articolo di giornale, oggi, invece, sulla via della sparizione, consisteva nel separare il luogo del “delitto” o semplicemente di svolgimento di un evento col segno in questione |
Questo tipo di intrusione da parte del linguaggio giornalistico nell’assetto comunicativo della narrazione, nel caso specifico della narrazione in store (ma poi sviluppato ulteriormente da me e Teresa Lutri, assieme all’utilizzo dell’underscore, all’interno della narrazione, formale solo nel termine – ma non nell’assetto sintattico, con la stesura di tutta una serie di racconti più o meno brevi), si dimostra utile nell’introduzione di una nuova pausa, forte, molto forte, quasi a spianare, come fosse un rullo compressore, la consolidata presenza del punto come segno forte d’interpunzione. Introdotto nel mio testo “In una stagione bellissima” (N.P. 4.12, 2010/06/16) e nel successivo “Magritte” (N.P. 4.13, 2010/07/12) rappresenta lo spostamento della parola corpo/oggetto, la traslazione di tutto un trasalire prima fisico che psichico, trasportando il nostro corpo e le nostre parole, come naturale prosecuzione del corpo, su di un piano che rappresenta a pieno titolo l’incedere frammentato di un società frenetica, postmoderna, in continuo movimento, la cui fonte primaria destabilizzante è la perenne  e totale apertura al cambiamento.
Tutto ciò nella maturazione di un approccio techno urbano al testo, come operazioni sintetiche delle evoluzioni tecnologiche del vivere. Che in un costrutto completamente dominato dalla contemporaneità sanno farsi portatrici, le evoluzioni tecnologiche, di accurate intrusioni, come teneri aghi trapiantati nel corpo, come scossa tesa a destare e ricostruire il corpo, quindi la parola stessa, come figlia diretta di mutazioni “genetiche” attraverso tutta una serie di impianti-trapianti che ne scalfiscono l’apparato classico conferendo una visione contemporanea all’insieme, qui inteso come testo, nella prosecuzione su carta, attraverso l’uso della parola intesa come protuberanza-estensione del corpo umano, dell’evolversi di una società ibrida, tecnologica, postmoderna, abbandonata allo scorrere non più di immagini, ma di soli frammenti, qui bene estesi e rappresentati nella rilettura dell’apparato pausativo.
L’introduzione di tutta una serie di segni, e contaminazioni, e operazioni tecnologiche del vivere, trasposizioni cartacee della parola oggetto/corpo, delle nostre protuberanze, delle nostre frammentazioni, sociali, esistenziali, dimensionali per spazio e tempo e realtà e virtualità, il ritmo delle parole, delle vite, delle scansioni umorali, dei tracciati delle piogge, dei fiori, dei fiori. Dei fiori distesi fra le nostre ossessioni. Liberi fieri contrari. Dislocati in un punto imprecisato dell’esistenza.


Francesco Aprile