Il cielo d'autunno, oggi, è marmoreo. Un soffitto che schiaccia le intenzioni. Anche le migliori. Quelle che, in una mattina di un 28 ottobre lastricato da rivoli scuri di nuvole, si scontrano con le atmosfere - lontane dalla pigrizia di questo cielo - che si scorrono fra le pagine del "Mistic Turistic" di Luca Morino, voce dei Mau Mau, edito da Mondadori nel 2003. Il libro, che nasce come serie di articoli apparsi fra il 2000 ed il 2003 su TorinoSette - supplemento settimanale de "La Stampa" - è tutto un crescendo di note, di musiche e sguardi diversi, freschi. Come afferma nella premessa Gabriele Ferraris quando dice che «Scrivere è stato per Luca Morino - musicista tra i più importanti delle ultime generazioni, in Italia - un'esperienza credo naturale, in fondo necessaria. Musica e scrittura soggiacciono a regole comuni: e difatti nelle pagine di questo libro si ritrovano il ritmo, il calore, la magia di certi dischi dei Mau Mau [...] Mistic Turistic è cresciuta settimana dopo settimana, a mano a mano che il Morino musicista prendeva coscienza del Morino scrittore.»
Ed il crescendo di note atmosfere e sensazioni, associate alle immagini scattate dallo stesso autore nel corso dei suoi viaggi - raccontati fra le pagine del libro - e che fanno molto, le immagini, anni '70 Craig Stecyk America Dogtown and Z-Boys, si ripercuotono sulle storie, sui loro ritmi, sancendo un passo - nettamente diverso - fra le prime pagine del libro e la seconda metà del suo lavoro, dove, come già affermato attraverso le parole di Gabriele Ferraris, assume consapevolezza del Morino scrittore che, imbevuta la scrittura nell'esperienza musicale, trascina le parole sulle corde di un disco che non sembra stancare, anzi, assume le coordinate, diverse di volta in volta, del viaggio di turno. E se passando dalla Francia all'Argentina si incontrano paesaggi ed atmosfere comuni non c'è da stupirsi. Perché come afferma l'autore, Babilonia è poesia. Ed il suo sostare d'estate fra l'aprirsi del mare alle evoluzioni stellari del cielo, alle atmosfere di complicità e calore, senza indugio, a soccorrere pensieri ed ansie, stanchezze mutilate e fermate a metà, rimandate indietro da quelle serate ventilate a brezza marina, è ciò che per l'autore vale il prezzo di quella sua stessa frase, nella quale afferma «Il Salento, però, non arriva mai. [...] Mancano ancora 300 chilometri e bisogna farsi furbi, diventare leggeri come l'aria per non patire l'assenza d'aria.» I 300 chilometri rappresentano la mancanza. La necessità. Il farsi “accoglienza” del respiro diverso che le strade assumono. Carburare e calibrare se stessi alle adiacenze fra strade e strade. Essere il tutto, ricercando l’accoglienza necessaria al viaggio, nelle stesse lunghe interminabili ore. Nella mancanza che si stende sui finestrini dell’auto in quel viaggio che, di volta in volta, è la direzione verso la fine di qualcosa, di una terra od una parentesi di vita. E poi si apre. Allo spalancarsi delle nostre possibilità, anche sconosciute. Che si modulano sulle frequenze di una musica che soccorre. Ma scorre, anche, dove gli occhi non si posano e le nostre necessità si modellano. Nel viaggio come mezzo interminabile di discesa dentro di noi. D’analisi, approfondita di una nostra stessa prassi del vivere. Come eterna complicità tra respiri e angoli sperduti di terra, dove sembra di scorgere solo la fine.

Francesco Aprile