Un approdo sicuro fra tradizioni pagane e cristiane
 


Sin dal Paleolitico, il tratto di costa che va da San Cataldo a Castro, ha rappresentato un facile approdo  per chi arrivava via mare dalle coste balcaniche. Le molteplici baie che caratterizzano la costa salentina hanno così svolto da sempre un ruolo di primaria importanza per gli antichi naufraghi, tanto da fungere molto spesso da piccoli luoghi di culto e preghiera.  La grotta di San Cristoforo, in località Torre dell’Orso, è, ancora oggi, un esempio molto suggestivo, importante per gli studiosi e allo stesso tempo affascinante per i visitatori.
 Grazie alle campagne di scavi archeologici svolte fra gli anni 1981-83, condotte dall’università di Lecce (oggi del Salento), dirette dal prof. Cosimo Pagliara, è stato possibile ricostruire le varie fasi di frequentazione della grotta.
 Scavata artificialmente all’interno della scogliera di punta Matarico, che costituiste la parte meridionale della baia di Torre dell’Orso, la grotta presenta una pianta quadrangolare, con il soffitto piano e una banchina leggermente sopraelevata rispetto al pavimento, in terra battuta, intorno ai tre lati. Probabilmente la cavità fu scavata intorno alla seconda metà del IV secolo a.C. da naufraghi che approdando nella piccola e comoda baia e cercando riparo, sentivano il bisogno di raccomandare il proprio viaggio agli dei, quindi di pregare ed effettuare dei piccoli voti.
Con il materiale avanzato dallo scavo della grotta fu realizzato un terrazzamento esterno, utilizzato in antichità per svolgere funzioni rituali, probabilmente sacre. Purtroppo questo terrazzamento è andato perduto a causa degli sfavorevoli agenti atmosferici. Non sono mancati ritrovamenti vascolari greco-indigeni tardo-arcaici risalenti, quindi, al IV-V secolo a.C. sempre frammentari, simbolo di una frequentazione più antica, le cui tracce sono poco conosciute, disturbate dalle attività edilizie moderne.  
Le fasi di frequentazione sono di età tardo-repubblicana, imperiale, tardo-antica e alto-medievale. Inoltre, decine di croci e testi d’invocazione al Signore, simboli di culti cristiani sono graffite sulle pareti della grotta e risalgono con ogni probabilità agli inizi del III secolo d.C. Allo stesso secolo appartiene un’iscrizione, ancora oggi visibile “FELICIOR HISPANIUS PETIT A DEO UTI SE TUTE E(T) TIMORI SI(NE) OS TEN(EAT) VADI”  (Felicior Hispanius chiede a dio di poter attraversare in tutta sicurezza e senza alcun timore la bocca dello stretto).  In età medievale invece la testimonianza del passaggio di un navigante è data dal graffito di una nave da trasporto, forse l’ultima rappresentazione pagana prima della cristianizzazione del luogo.
Costituendo il porto dell’antico centro di Roca, la baia di Torre dell’Orso era uno scalo fondamentale per chi giungeva dall’altra sponda adriatica (l’odierna Albania). La rotta che collega la baia all’Albania infatti, risulta essere il percorso più breve che i naviganti potessero compiere. Nel 44 a.C. Augusto, dopo aver saputo dell’uccisione di Cesare e temendo disordini nel porto di Brindisi, seguì molto probabilmente questa rotta, per raggiungere la più sicura città di Lupiae e proseguire per Roma. Molti studiosi sostengono inoltre che Virgilio avesse in mente proprio questo luogo quando descrisse l’approdo nel Salento di Enea, partito dai monti Acrocerauni dell’Albania, “onde a le spiagge si fa d’Italia il più breve tragitto”.
Nel 1877 sono state asportate dalla grotta alcune iscrizioni, ora al museo provinciale di Lecce. Si tratta di due iscrizioni greco-bizantine del XII secolo d. C. e un’iscrizione greca di età imperiale del II secolo d.C. circa. Quest’ultima è divisibile in tre parti: nella prima parte vi è la dedica alla divinità; nella seconda parte è descritta l’estensione dell’atto rituale; nella terza parte vi è il formulario di augurio di buona navigazione.
Non sappiamo con certezza quale fosse il nome del dio pagano venerato all’interno della grotta: le testimonianze graffite si riferiscono tutte ad una divinità maschile, legata alla navigazione, identificata con epiclesi generiche (“invincibile”, “sommo”, “che ascolta”). Vi è dunque un’interessante analogia riscontrata nel significato etimologico del nome del santo a cui è dedicata la grotta: San Cristoforo è infatti il santo del “passaggio”, “colui che porta il Cristo” e “che conduce in salvo dall’una all’altra via”. La ri-dedicazione del tempio di Torre dell’Orso dovette essere un simbolo lampante di continuità e unitarietà spirituale fra tradizione pagana e religione cristiana.

Roberta Gaetani