storia di Yvan, il pioniere che difende i diritti dei braccianti stranieri

Quante storie in una storia! Sono 400 immigrati residenti nel Salento e provenienti dall’Africa. Tra luglio e agosto dello scorso anno hanno deciso di protestare contro il caporalato. Loro erano le vittime di un sistema economico antichissimo e insieme hanno organizzato un movimento di protesta, civile e pacifico, come mai nessuno aveva fatto. Il loro disagio sociale è diventato un evento seguito dai media e dalla stampa fino a raggiungere le scrivanie della Regione Puglia che ha emanato un decreto in grado di riconoscere l’illegalità dello sfruttamento della manodopera straniera nelle campagne salentine. Le liste di prenotazione garantiscono i diritti del lavoratore favorendo l’imprenditore che predilige questa nuova soluzione regionale. La storia è diventata un libro: “Sulla pelle viva. Il primo sciopero autorganizzato dei braccianti immigrati in Italia” edito da DeriveApprodi. Gianluca Nigro, operatore sociale, Yvan Sagnet, leader dello sciopero, Mimmo Perrotta e Devi Sacchetti, sociologi, non sono solo gli autori del testo ma i fautori dello sciopero. Organizzati nella masseria Boncuri, a Nardò, dove sono predisposte circa 20 tende che ospitano i lavoratori hanno trasformato la campagna di sostegno inaugurata nel 2010 “Incoraggiami. Contro il lavoro nero” in una vera e propria manifestazione di indignazione. Grazie all’appoggio dell’associazione “Finis Terrae” e delle “Brigate di solidarietà attiva” insieme ai 120 volontari che gestiscono la masseria si è donata una voce al silenzio di chi sembrava non trovare vie d’uscita da un lavoro che costringeva a chinare non solo la schiena ma anche il capo, senza più dignità. La straordinarietà del fatto sta nel grido che è partito dai più deboli i quali davanti all’invito di Yvan non hanno esitato a lottare tutti insieme. Yvan, quindi, rappresenta il gruppo. Ha 27 anni ed è nato a Douala, in Camerun, è in Italia dal 2008 e studia ingegneria delle telecomunicazioni a Torino ma nei mesi estivi raggiunge il Salento. La necessità di guadagnare non giustifica la repressione dei propri diritti. Ecco perché il “Mandela salentino”, com’è stato soprannominato da alcune testate nazionali, ha voluto ribellarsi contro uno stato di schiavitù, ha chiesto per sé e gli altri compagni, uno stipendio proporzionale al loro sacrificio di lavoratori. È impensabile immaginare che 3,5 € era la misera retribuzione per ogni cassone di pomodori raccolti mentre il caporale guadagnava su una quantità di gran lunga maggiore. Nonostante le minacce di morte Yvan non si è lasciato intimorire e ha intrapreso una nuova strada anche a nome dei braccianti di Rosarno, in Calabria, e di tutti coloro che hanno timore a difendere i propri diritti.

di Paola Bisconti