Tra i numerosi elementi che rendono interessante il libro “La B capovolta” spicca una delle peculiarità della giovane autrice Sofia Schito, di Felline, che da sempre adora la scrittura e oggi con la stesura del suo primo romanzo è riuscita ad esprimere tutta la sua gratitudine nei confronti della storia,  una disciplina in grado di formare non solo bravi studenti ma soprattutto dei cittadini consapevoli della propria identità. Schito ha dimostrato di essere oltre ad una brava scrittrice anche una donna che non vuole dimenticare ma intende condividere il ricordo del sacrificio degli ebrei, persone innocenti, morte nell’olocausto voluto dai nazisti. I recenti fatti d’attualità che vedono minaccioso l’avanzare di alcuni movimenti politici estremisti come sta accadendo in Grecia ma che sono presenti in tutte le nazioni, anche in Italia, acuiscono un problema sociale che è più grave di quanto si possa immaginare. Rievocare ciò che ha generato il regime fascista con i campi di sterminio è un efficace metodo educativo che deve risvegliare i fanatismi dalle logiche razziste. “La B capovolta” coinvolge i bambini ed è rivolta in particolar modo ai fanciulli, infatti, il testo sarà utilizzato in alcune scuole del Salento che elaboreranno gli argomenti legati al periodo storico della guerra mondiale attraverso la letteratura. L’esperimento didattico che già si preannuncia vincente consentirà alle scolaresche di condividere anche con le proprie famiglie una tematica che siamo abituati a ricordare solo il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria. Il sonno di un bambino, protagonista del racconto, lo condurrà indietro nel tempo e trovandosi in uno dei vagoni del treno che raggiunge Auschwitz racconta l’incontro con un chimico italiano dai capelli arruffati: Primo Levi. Alcuni aneddoti del libro “Se questo è un uomo” sono ripresentati nel romanzo della Schito che offre ai bambini-lettori una visione del tutto nuova per spiegare la drammaticità della situazione. Il titolo stesso si spiega nelle pagine grazie all’incontro del protagonista con il fabbro nonché con l’artefice della celebre targa in ferro posizionata all’ingresso del campo di sterminio in Polonia. Il comandante Rudolf Hoss ordinò al capo tedesco Kurt Muller di incaricare Jan Liwacz di costruire l’insegna. Liwacz era entrato nel campo di sterminio il 20 giugno del 1940 e ricevette l’ordine di dirigere l’officina Schlosserei situata all’interno del campo dove si fabbricavano lampioni, inferriate, sbarre e cancelli. Il fabbro che era un dissidente politico polacco non ebreo mentre lavorava alla realizzazione dell’insegna “Arbeit Macht Frei” decise di saldare la b capovolta, con l’occhiello piccolo in basso anziché in alto esprimendo così con un semplice gesto di ribellione il valore più nobile di libertà e dignità dell’essere umano e ancora una volta la scrittura, la cultura, si rivela l’arma più pacifica di ribellione e di protesta. L’insegnamento che il libro vuole esprimere è racchiuso fra i racconti di un bambino e le sue verità che devono urtare le coscienze di chi oggi come allora si ostina a rincorrere un razzismo che genera solo violenza proprio come accade nei Cie, i centri di identificazione ed espulsione, dove sono rinchiusi come in un lager gli immigrati che subiscono terribili torture. La shoà non è solo il passato purtroppo è ancora un’atroce realtà che risulta però nascosta dietro le grandi democrazie. Le parole stampate sui libri, tuttavia, riusciranno a divulgare un messaggio di pace e di fratellanza, per questo è necessario leggere questo genere di testi e ringraziare l’autrice Sofia Schito e la casa editrice Lupo che merita un plauso per le scelte editoriali che la contraddistinguono e risaltano i valori di un team professionale che crede nel potere della cultura.

di Paola Bisconti