Ancora una volta Antonio Errico ci incanta con il romanzo “L’esiliato dei pazzi” che appare come l’elogio del tempo. Il racconto, infatti, risale alla “cronica” della fine del Quattrocento, quella che riguarda la congiura dei Pazzi a Firenze. Ma se in quel periodo la capitale europea della cultura, dell’arte di Botticelli, della filosofia neoplatonica, del ritmo poetico di Poliziano era lo scenario dello scontro fra le famiglie dei Pazzi e dei Medici, a Otranto stava per accadere la tragedia dello sbarco dei turchi. Ed è proprio in questa terra martoriata dai saraceni che scontava la pena il cortigiano di Lorenzo il Magnifico accusato ingiustamente di aver tramato alle spalle del suo padrone. L’esilio forzato induce l’amico e il confidente nonché coetaneo del principe dei Medici a stilare un carteggio di epistole indirizzate al nobile fiorentino. Qui l’esiliato scrivano dichiara la sua innocenza ma soprattutto, da condannato si trasforma in condannante perché sfata i falsi miti generati intorno alla figura di Lorenzo il Magnifico rivolgendosi a lui con odio e amore e mette in risalto gli usi impropri delle arti da parte dei potenti. Una condizione temporanea unisce i due eventi (la congiura avvenuta il 26 aprile 1478 e l’invasione dei turchi a Otranto del 26 luglio 1480) grazie alla figura dell’esiliato che in realtà non vorrebbe appartenere ad alcun tempo ma intende, invece, cercare e scoprire Dio ritrovandolo poi nell’enigma filosofico e religioso. Le parole dell’uomo inducono il lettore a riflettere sui tortuosi processi della storia dove il potere e la vendetta predominano circondati dalla verità e dalle menzogne. La narrazione dello scrivano, oltre a svelare tutta la sua sofferenza e la solitudine di un uomo costretto a scontare l’ingiusta pena di dover vivere lontano dalla splendente Firenze focalizza anche il fulcro storico del libro che è appunto il progetto della famiglia dei Pazzi, ricchi banchieri, intenti a voler stroncare l’egemonia dei Medici provocando così la morte di Guglielmo, marito di Bianca de Medici, e il ferimento di Lorenzo. La scelta di partire dai riferimenti storici è un modo per riportare in vita quelle pagine impolverate dal tempo che grazie ad Errico hanno riacquistato un’anima e questa rievocazione non si limita ad esaltare i fatti ma a donare ai protagonisti delle vicende, i sentimenti più profondi dell’essere umano. Fra le 168 pagine del libro edito da Manni non può mancare l’audace descrizione del Salento da parte di uno “straniero” che rimane folgorato dalla realtà del sud sapientemente dipinta dall’artista Niceforo che diventa un amico. Le lettere saranno poi accuratamente deposte dall’esiliato in un orcio di terracotta prima che i saraceni facciano irruzione nella città. Attraverso una lirica piacevole e raffinata, con frasi corte, una lingua pulita, tempi lunghi e sagge citazioni in latino risaltano gli spaccati di sapienza dell’autore che dimostra in ogni suo capolavoro di essere un degno erede della famiglia dei poeti e degli scrittori salentini che tanto lustro hanno dato alla nostra terra. Il libro è un faro che illumina l’oscurità del sapere che affonda nell’abisso della biblioteca di Casole e si ricompone nei tasselli del mosaico di Pantaleone.

di Paola Bisconti