Chi non conosce "Arcimboldo", il celebre pittore medioevale che raffigurava o meglio componeva ritratti utilizzando elementi come frutti, fiori e ortaggi sostituendoli al posto di nasi, orecchie o capelli?
Attraverso questa allegorica maschera vegetale l’anatomia umana manifestava ricchezza varietale e forse convalidava l’importanza attribuita in quel periodo alle coltivazioni erbacee.
Immagini assemblate, quindi, come simbolo di un’allegra kermesse sulla biodiversità testimoniavano già nel medioevo nuovi cataloghi da sostituire alle più antiche classificazioni botaniche.
Dall’era della colonizzazione, infatti, l’Europa subì un cambio radicale; la diffusione di nuove specie aprì l’epos di una nuova agricoltura, quella che per intenderci sostituì le nostre abitudini alimentari. Chi sarebbe in grado di decifrare la bizzarria delle figure di Arcimboldo, potrebbe cogliere per ogni volto dipinto, varietà rare e specie perdute o magari stipate, oggi, in qualche desolante banca del seme in bramosa attesa di nuove disposizioni di tutela. Parliamo di semi da recuperare, libere espressioni germinative, cadute nel vortice delle modificazioni geniche. Il rinvenimento di varietà antiche è la felice rianima di un tempo passato, quando colori, odori e sapori si fondevano a creare il piacevole rituale giornaliero tra la felicità dei commensali in una sorta di Yin e Yang del cibo.
La scelta di produrre un determinato ecotipo, nel passato, si basava sull’intento di normalizzare l’energia del corpo per armonizzarla con quella cosmica oltre che sulla razionalità di coltivare naturalmente la terra.
L’alimentazione razionale è infatti, uno dei motivi che spinge tanta gente a ricercare con passione quelle varietà vegetali ormai in disuso perché magari poco produttive o non idonee alla moderna raccolta pur possedendo qualità riconosciute e apprezzate dalla scienza.
Tale vivacità si recupera anche nel Salento, con una miriade di tipi botanici differenti, attraverso piccole comunità del cibo diffuse sul territorio nonostante i continui strappi di territorio all’agricoltura.
Resistenza e dinamismo sarebbero infatti le qualità che hanno permesso agli ecotipi vegetali di adattarsi ai cambiamenti e di giungere indenni attraverso i secoli; ma oggi qualcosa sta cambiando.
Il territorio è vulnerabile, accresce la sua sensibilità ai cambiamenti climatici, la pressione antropica e l’immoralità di certa “globalizzazione” potrebbero invalidare per sempre la solidità che ha rappresentato secoli di mediterraneo rurale così come è già avvenuto con alcune razze animali.
Gli ecotipi locali, sono prodotti più che speciali, che il suo dialetto descrive, destinati ai palati più fini per aromatizzare truppe di taiere e pignate di terracotta o per farcire le tradizionali calde pittule, fucazze e friseddrhe. Allora perché non percorrere queste vie dell’appetito tra i labirinti rurali di ogni centro Salentino per ritrovarsi e abbandonarsi alla moltitudine delle prelibatezze proposte?
Oltre alla patata, Galatina, ad esempio, insieme ad Otranto favorisce la sua cicoria, Sannicola il suo pisello riccio e Muro Leccese, Uggiano la Chiesa e Tricase il suo cece nero. Gli agri della grecìa salentina e di Manduria sono conosciuti per le loro rinomate spureddrhe bianche (cucumis melo), per i meloni dolci (minna te sora) o per i gustosi pomodorini da serbo (pendula) e così via per ogni luogo.
Esemplari virtuosi salentini di seed savers si riscontrano nel piccolo comune di Zollino che da diversi anni incoraggia una serie d’incontri e dibattiti per far conoscere il valore del suo pisello nano o Tiggiano attraverso le piacevoli sagre estive di sant’Ippazio per promuovere la sua pastinaca viola (pastinaca di santu pati). Di sagre, nel Salento c’è ne sono a bizzeffe, quelle che risaltano gli ecotipi locali con azioni di diffusione sono proprio contate. Che valore avrebbe una tipica friseddrha ncapunata (frisella farcita) con ortaggi e verdure per così dire “aliene”, magari proposte con frumento, melanzane e pomodori Ogm? Sarebbe una beffa che il visitatore coglierebbe in un attimo; allora si dovrebbe suggerire a chi organizza questi eventi a considerare questi particolari perché piccolezze non sono; è quasi come promuovere un festival dell’ecologia e del territorio e non affrontare la questione della differenziazione dei rifiuti.
Tali biodiversità, sono resistenze genotipiche di una popolazione omogenea identificata questa volta in un cantuccio di mediterraneo a due passi dall’oriente, la cui perdita potrebbe procurare danni ecologici, culturali ed economici. Sono specie da tutelare con disciplinari di produzioni, marchi collettivi e azioni divulgative prima che sia troppo tardi e su questo le comunità agricole del Salento sono concordi perché la difesa degli ecotipi oltre che a essere una necessità o una memoria da riscattare è sopratutto un inviolabile diritto alla semina.
di Mimmo Ciccarese
Attraverso questa allegorica maschera vegetale l’anatomia umana manifestava ricchezza varietale e forse convalidava l’importanza attribuita in quel periodo alle coltivazioni erbacee.
Immagini assemblate, quindi, come simbolo di un’allegra kermesse sulla biodiversità testimoniavano già nel medioevo nuovi cataloghi da sostituire alle più antiche classificazioni botaniche.
Dall’era della colonizzazione, infatti, l’Europa subì un cambio radicale; la diffusione di nuove specie aprì l’epos di una nuova agricoltura, quella che per intenderci sostituì le nostre abitudini alimentari. Chi sarebbe in grado di decifrare la bizzarria delle figure di Arcimboldo, potrebbe cogliere per ogni volto dipinto, varietà rare e specie perdute o magari stipate, oggi, in qualche desolante banca del seme in bramosa attesa di nuove disposizioni di tutela. Parliamo di semi da recuperare, libere espressioni germinative, cadute nel vortice delle modificazioni geniche. Il rinvenimento di varietà antiche è la felice rianima di un tempo passato, quando colori, odori e sapori si fondevano a creare il piacevole rituale giornaliero tra la felicità dei commensali in una sorta di Yin e Yang del cibo.
La scelta di produrre un determinato ecotipo, nel passato, si basava sull’intento di normalizzare l’energia del corpo per armonizzarla con quella cosmica oltre che sulla razionalità di coltivare naturalmente la terra.
L’alimentazione razionale è infatti, uno dei motivi che spinge tanta gente a ricercare con passione quelle varietà vegetali ormai in disuso perché magari poco produttive o non idonee alla moderna raccolta pur possedendo qualità riconosciute e apprezzate dalla scienza.
Tale vivacità si recupera anche nel Salento, con una miriade di tipi botanici differenti, attraverso piccole comunità del cibo diffuse sul territorio nonostante i continui strappi di territorio all’agricoltura.
Resistenza e dinamismo sarebbero infatti le qualità che hanno permesso agli ecotipi vegetali di adattarsi ai cambiamenti e di giungere indenni attraverso i secoli; ma oggi qualcosa sta cambiando.
Il territorio è vulnerabile, accresce la sua sensibilità ai cambiamenti climatici, la pressione antropica e l’immoralità di certa “globalizzazione” potrebbero invalidare per sempre la solidità che ha rappresentato secoli di mediterraneo rurale così come è già avvenuto con alcune razze animali.
Gli ecotipi locali, sono prodotti più che speciali, che il suo dialetto descrive, destinati ai palati più fini per aromatizzare truppe di taiere e pignate di terracotta o per farcire le tradizionali calde pittule, fucazze e friseddrhe. Allora perché non percorrere queste vie dell’appetito tra i labirinti rurali di ogni centro Salentino per ritrovarsi e abbandonarsi alla moltitudine delle prelibatezze proposte?
Oltre alla patata, Galatina, ad esempio, insieme ad Otranto favorisce la sua cicoria, Sannicola il suo pisello riccio e Muro Leccese, Uggiano la Chiesa e Tricase il suo cece nero. Gli agri della grecìa salentina e di Manduria sono conosciuti per le loro rinomate spureddrhe bianche (cucumis melo), per i meloni dolci (minna te sora) o per i gustosi pomodorini da serbo (pendula) e così via per ogni luogo.
Esemplari virtuosi salentini di seed savers si riscontrano nel piccolo comune di Zollino che da diversi anni incoraggia una serie d’incontri e dibattiti per far conoscere il valore del suo pisello nano o Tiggiano attraverso le piacevoli sagre estive di sant’Ippazio per promuovere la sua pastinaca viola (pastinaca di santu pati). Di sagre, nel Salento c’è ne sono a bizzeffe, quelle che risaltano gli ecotipi locali con azioni di diffusione sono proprio contate. Che valore avrebbe una tipica friseddrha ncapunata (frisella farcita) con ortaggi e verdure per così dire “aliene”, magari proposte con frumento, melanzane e pomodori Ogm? Sarebbe una beffa che il visitatore coglierebbe in un attimo; allora si dovrebbe suggerire a chi organizza questi eventi a considerare questi particolari perché piccolezze non sono; è quasi come promuovere un festival dell’ecologia e del territorio e non affrontare la questione della differenziazione dei rifiuti.
Tali biodiversità, sono resistenze genotipiche di una popolazione omogenea identificata questa volta in un cantuccio di mediterraneo a due passi dall’oriente, la cui perdita potrebbe procurare danni ecologici, culturali ed economici. Sono specie da tutelare con disciplinari di produzioni, marchi collettivi e azioni divulgative prima che sia troppo tardi e su questo le comunità agricole del Salento sono concordi perché la difesa degli ecotipi oltre che a essere una necessità o una memoria da riscattare è sopratutto un inviolabile diritto alla semina.
di Mimmo Ciccarese