“Se mangi pisieddrhi te ntostanu le carcagne”! (se mangi piselli, s’induriscono i talloni).
Nel Salento si propone quest’antico detto nei giorni in cui si reclama una possibile alternativa alla struggente pignatta, adagiata a bollire sul fuoco lento, molte ore prima del mezzogiorno.
È doveroso non snobbare quel piatto di “pisieddhri a pignatu” perché essi si trascinano dietro sapori e saperi della civiltà contadina, l’umiltà e la semplicità di un cibo, povero per l’immaginario collettivo ma ricchissimo di proprietà per la scienza moderna.
Quest’ortaggio contiene, infatti, carboidrati, fibre e proteine oltre la media delle verdure; sono ricchi di sali minerali, in particolare potassio e fosforo, sostanze come acido folico e clorofilla.
È confermato, i piselli sono nutrimento rurale ed essenze della dieta mediterranea, che si riscopre oggi, come possibile soluzione a ciò che certa industria alimentare prescrive a ogni costo.
Allora il Salento non impone, propone ed espone, invece, una triade straordinaria di piselli; quello nano di Zollino, quello riccio di Sannicola e quello secco di Vitigliano.
Sono piccole biodiversità da proteggere, comunità che glorificano le tradizioni culinarie attraverso le loro recenti Denominazioni comunali: paese che vai pisello che scopri!
“Ientulare lu pisieddru” (ventilare il pisello), nelle prime ore mattutine, quando il baccello secco si stacca dal suo pedicello ed esporlo al sole sul piano dei terrazzi o sulle aie di masseria che precedono la “battitura” o la setacciatura sono ancora usanze dal ritmo lento e avvincente.
Sono espressioni locali di famiglie ritrovate, consuetudini capaci di rialzare presidi contro le terribili invasioni barbariche con il vigore tipico di chi non intende emigrare la tradizione nell’oblio alimentare.
È un dibattito ancora aperto su quello che associazioni agricole rimbalzano dal produttore al consumatore, quotidianamente, con il concetto del Km 0, con i gruppi d’acquisto organizzati e solidali con le produzioni bio ormai necessarie.
Preferire aziende locali, richiedere prodotti tipici, per sviluppare un territorio ormai allo stremo, che comunque ripresenta senza desistere il suo prodotto, che difende qualità e dignità produttiva dalle orde dei novel food, raffinati e complessi, quei cibi che per intenderci potrebbero essere prodotti innaturalmente.
Allora lo tsunami di delicatezza che potrebbe suscitare all’assaggio, una fumante pietanza di “pisieddrhi cu li muersi fritti” (piselli con il pane raffermo fritto) quando i piselli sono locali, è indescrivibile; questi legumi rappresentano sicuramente la sincerità, il calore del nutrimento oltre che la pura energia di un territorio.
di Mimmo Ciccarese
Nel Salento si propone quest’antico detto nei giorni in cui si reclama una possibile alternativa alla struggente pignatta, adagiata a bollire sul fuoco lento, molte ore prima del mezzogiorno.
È doveroso non snobbare quel piatto di “pisieddhri a pignatu” perché essi si trascinano dietro sapori e saperi della civiltà contadina, l’umiltà e la semplicità di un cibo, povero per l’immaginario collettivo ma ricchissimo di proprietà per la scienza moderna.
Quest’ortaggio contiene, infatti, carboidrati, fibre e proteine oltre la media delle verdure; sono ricchi di sali minerali, in particolare potassio e fosforo, sostanze come acido folico e clorofilla.
È confermato, i piselli sono nutrimento rurale ed essenze della dieta mediterranea, che si riscopre oggi, come possibile soluzione a ciò che certa industria alimentare prescrive a ogni costo.
Allora il Salento non impone, propone ed espone, invece, una triade straordinaria di piselli; quello nano di Zollino, quello riccio di Sannicola e quello secco di Vitigliano.
Sono piccole biodiversità da proteggere, comunità che glorificano le tradizioni culinarie attraverso le loro recenti Denominazioni comunali: paese che vai pisello che scopri!
“Ientulare lu pisieddru” (ventilare il pisello), nelle prime ore mattutine, quando il baccello secco si stacca dal suo pedicello ed esporlo al sole sul piano dei terrazzi o sulle aie di masseria che precedono la “battitura” o la setacciatura sono ancora usanze dal ritmo lento e avvincente.
Sono espressioni locali di famiglie ritrovate, consuetudini capaci di rialzare presidi contro le terribili invasioni barbariche con il vigore tipico di chi non intende emigrare la tradizione nell’oblio alimentare.
È un dibattito ancora aperto su quello che associazioni agricole rimbalzano dal produttore al consumatore, quotidianamente, con il concetto del Km 0, con i gruppi d’acquisto organizzati e solidali con le produzioni bio ormai necessarie.
Preferire aziende locali, richiedere prodotti tipici, per sviluppare un territorio ormai allo stremo, che comunque ripresenta senza desistere il suo prodotto, che difende qualità e dignità produttiva dalle orde dei novel food, raffinati e complessi, quei cibi che per intenderci potrebbero essere prodotti innaturalmente.
Allora lo tsunami di delicatezza che potrebbe suscitare all’assaggio, una fumante pietanza di “pisieddrhi cu li muersi fritti” (piselli con il pane raffermo fritto) quando i piselli sono locali, è indescrivibile; questi legumi rappresentano sicuramente la sincerità, il calore del nutrimento oltre che la pura energia di un territorio.
di Mimmo Ciccarese