L’architettura contemporanea è sempre una realtà trascurata anche se appartiene al nostro contesto urbano, un discorso intellettuale poco comprensibile, a meno che non si tratti di uno dei prodotti dell’architettura mediatica, figlia dell’high tech dove talvolta lo stupore cela strutture effimere.
L’architettura non è solo una prerogativa del passato, anzi la ricerca architettonica in Italia non è tramontata, ne è conferma lo stuolo di giovani professionisti presenti sul territorio, ma esistono pochi modi per vederla realizzata e pochi spazi per celebrarla.
Facendo un discorso generalizzato dopo gli anni fascisti dove l’architettura era manifestazione del potere statale, se ne è voluto sminuire il ruolo artistico. La mancata obbligatorietà della firma e controllo di un architetto sui progetti (a differenza di quanto accade negli altri paesi europei), ha fatto il resto e la qualità estetica dell’architettura ne ha risentito.
La triade vitruviana secondo cui un edificio dovesse rispettare i canoni di  Firmitas, Utilitas, Venustas (solidità, funzione, bellezza) è stata smembrata.
Sinceramente mi piace ancora pensare ad un valore salvifico dell’architettura e penso che il termine che va più in voga da alcuni anni in qua secondo cui l’architettura debba essere sostenibile, inglobi necessariamente anche il senso estetico.
Franco Purini in un’intervista fa propria una considerazione di Stendhal secondo cui “La bellezza è la promessa di felicità”.
A Lecce nel quartiere stadio, in mezzo ad una realtà architettonica priva di spessore, tra l’edilizia economica e popolare sorge il Complesso Parrocchiale di San Giovanni Battista progettato dalla mano sapiente di uno dei maggiori studi di architettura italiana dagli anni ’60 ad oggi quello di Franco Purini e Laura Thermes.
Sebbene si tratti di uno dei progetto realizzato nel 2006, rappresenta sicuramente una delle poche occasioni di esprimere e ostentare nelle nostre città le capacità professionali di spicco, mentre per la Conferenza Episcopale è stata l’occasione di poter scegliere attraverso l’iter concorsuale, dei progettisti che garantissero l’ambita qualità architettonica.
I progetti presentati inglobavano tutte quelle che erano le considerazioni della nuova liturgia in cui l’altare è in posizione centrale rispetto l’assemblea, altare, ambone e la fonte battesimale.
La struttura è costituita da elementi puri, semplici perfettamente riconoscibili assemblati con alla base una sorta di griglia primaria.
Franco Purini è da sempre sostenitore di un’architettura semplice depurata dal superfluo, priva di elementi auto-celebrativi: strutture che sono in grado di essere invisibili come egli stesso ama definire. Impossibile fare un confronto con le nostre chiese barocche che anzi celebrano l’opulenza nelle dimensioni e nelle decorazioni, Purini si distacca dal passato e si integra con eleganza nella modernità.
All’interno dello spazio quadrato la traslazione della struttura dall’involucro è come un riecheggiare dello spazio a cui la luce indiretta che giunge dall’alto conferisce il senso liturgico.
Giò Pomodoro avrebbe dovuto aggiungere la sua opera al progetto, ma morì prima di poterli realizzare, così altare, vetrate e portone d’ingresso sono opera dello scultore campano Mimmo Paladino e dell’artista salentino Armando Marrocco.
All’ingresso un semplice elemento sembra staccarsi dell’impianto architettonico per distinguere il passaggio dal laico al sacro, affiancato dalla trave della struttura principale che quasi sfonda la struttura perimetrale per mostrare la sacra croce.
 Il complesso di San Giovanni Battista si propone in particolare come “casa della comunità” infatti ingloba all’interno una sorta di piazza a dimensione umana, un luogo d’incontro in un “non luogo” che è la periferia.
Il contributo dell’architetto è ancora visibile ed è stato quello dell’aver donato ad uno spazio indefinito, un luogo capace di rifondere il provvisorio e risarcirlo, simbolo salvifico della misericordia divina.
 
di Alessandra Paresce