Ci sono luoghi dove il tempo sembra essersi fermato ad un determinato giorno di un determinato anno. Architetture abbandonate al degrado che celano le mancate aspettative ed obiettivi di una persona o di una famiglia, ma se quel luogo è un opificio, allora dietro a quell’edificio c’è molto di più: c’è la storia di una società passata e della sua economia.
Un viaggio in treno nel nostro territorio è forse il più comune compendio di realtà e luoghi del passato.
A ridosso della ferrovia non è certo inusuale scorgere delle imponenti strutture industriali dismesse, molto spesso è ciò che rimane di una singolarmente florida economia della viticoltura di fine Ottocento.
Già alla fine del Settecento diversi protocolli notarili conservati dell’Archivio di Stato riportano i quantitativi di carico che dimostrano quanto le uve salentine, soprattutto quelle del territorio di Taranto, Brindisi e quelle più a ridosso del Capo Salentino, siano le più rinomate e richieste dai mercati europei, ma a fronte di un’ottima materia prima, i nostri sistemi di vinificazione sono carenti.
La produzione è limitata e la pigiatura delle uve avviene sul posto in vasche calcarenitiche contenute in ambienti chiamati “palmenti”, manca cioè tutta quella lavorazione e metodo di conservazione che possa assicurare la qualità e la quantità del prodotto. L’acquisto del vino da parte dei consumatori locali avviene con cadenza mensile e si tratta di un prodotto la cui gradazione alcolica è 12-16 gradi.
Agli inizi dell’Ottocento è la diffidenza locale ad impedire l’emulazione e l’adeguamento della propria produzione di vino alle nuove tecniche introdotte nella vinificazione da alcuni latifondisti Settentrionali lungimiranti e la nostra produzione continua ad incentrarsi su quella dei vini da taglio.
Alla fine del XVIII secolo la Francia vede prima dimezzare e poi completamente sparire i propri vigneti a causa di un parassita: la filossera. Per questo motivo sottoscrive un trattato per cui si lega con l’Italia per importare vino. I vitigni italiani hanno infatti la fortuna di essere tra gli ultimi ad essere interessati al problema ed a loro volta, quelli Salentini costituiscono infine le ultimissime piantagioni ad essere intaccate dalla filossera.
L’aumento della domanda e la facilità dei mercati, fa dell’Italia il maggiore esportatore europeo di vino. In più alla fine dell’800 l’ovicoltura e la produzione olearia diminuisce a causa della concorrenza straniera, l’invasione di insetti nocivi ed i fattori climatici non sempre favorevoli si sommano con gli anni in cui la pianta si concede il naturale riposo.
 La rinnovata economia induce sia i latifondisti, sia i piccoli proprietari a trasformare i propri vigneti in colture esistenti, mentre per i lavoratori si registra un miglioramento dei salari ne consegue un consistente flusso immigratorio di lavoratori stagionali e permanenti.
E’ in questo contesto che iniziano a diffondersi le costruzioni di centinaia di stabilimenti vinicoli, favoriti dagli ingenti capitali che vengono investiti nel nostro territorio ad opera di imprenditori francesi o del Nord Italia. La presenza di infrastrutture che assicuravano il rapido e ingente smercio di prodotto, la favorevole posizione geografica e la possibilità di reperire forza-lavoro a buon mercato completano il quadro degli elementi essenziali dell’avvio di una rinnovata economia che agevola anche l’inizio della politica di bonifica delle terre: le zone vengono infatti bonificate e coltivate a vitigni.
La prosperità economica è visibile nelle imponenti strutture architettoniche dalla loro decorazione e da quelle delle abitazioni dei proprietari degli stabilimenti. Si tratta di decorazioni effettuate dall’esperte mani di progettisti e decoratori locali che non seguono uno stile preciso, ma si affidano al gusto del proprio committente ed alle tendenze del momento: il vestito architettonico è l’evidenziazione di uno stato sociale, la necessità di autocelebrazione della rinnovata classe sociale.
Si sviluppano architetture eclettiche, segno tangibile della nuova borghesia.
 Nel 1887 la diminuita domanda di vino da taglio da parte della Francia, che aveva completamente rinnovato i propri vigneti devastati dalla filossera, fa sì che i rapporti commerciali precedentemente intercorsi si interrompano.
La crisi della viticoltura nel Salento, come in Italia, si fa sentire nei primi del ‘900 per l’arrivo della filossera congiuntamente all’avvicendarsi di annate con climi meno proficui.
Líavvento dei Conflitti Mondiali segna un ulteriore battuta díarresto nellíeconomia vinicola, ma sebbene nei primi anni ë50 nel territorio siano presenti numerosi stabilimenti vinicoli ed altrettanti palmenti attivi,  alla fine degli anni ë50 si rende necessaria una nuova politica di produzione del vino: Ë líinizio delle prime cantine Sociali che segnano il passo di una sempre crescente modernizzazione dellíorganizzazione produttiva e strutturale degli stabilimenti vinicoli, riducendo il numero degli addetti e portando alla scomparsa delle iniziative di medie dimensioni e meno dinamiche di qui i molti vecchi impianti vinicoli vengono dismessi e completamente abbandonati. Rimangono ad oggi strutture che abbandonate al loro degrado aspettano forse di riappropriarsi di un ruolo nella nostra società, mentre a noi non resta che aspettare di riappropriarci del nostro patrimonio storico- culturale.

di Alessandra Paresce