Indovinello a trabocchetto salentino: “ Tegnu nu purciddruzzu, stae ttaccatu a manganuzzu, nu mangia e nu mbie, stae cchiu ressu iddru te mie (trad. ” ho un maialino sempre legato, non mangia e non beve ma è più grande lui di me”); soluzione: lu sarginiscu

Arriva il mese di Luglio e con lui sua altezza”sarginiscu” nota come “zipangulu” per i calabresi o “sindia” per i sardi, prodotto conosciuto, invece, come cocomero, mellone d’acqua o meglio anguria, dal nome di un antico filosofo greco Angurioun.
Ambiguità e variabilità del suo etimo a parte, il rito necessario per una regione assolata come il Salento di offrire una dissetante e generosa fetta d’anguria al passante curioso è garantito almeno in una delle sue centinaia fiere e sagre.
Allora al secco grido di “ Cicileu Pantaleu” del tagliatore di angurie che sventola, offrendo la sua più grossa fresca fetta estratta dal suo cuore più dolce occorre rispondere lestamente anticipando tutti gli altri in attesa con un rapido “iou”, altrimenti si rimane con il pezzo più infelice.
Il frutto assai richiesto durante un soggiorno estivo acquistabile a buon prezzo in ogni angolo di questa regione ha però molte possibilità che sia scelto piuttosto acerbo o insipido. Si cerca la giusta maturazione in ogni frutto, che non sgrani troppo sotto i denti per la compattezza o che non abbia eccessi di vuoto tra i suoi semi: in altre parole una buona qualità.
Scegliere un sarginiscu fidandosi del suo produttore taglia la testa al toro, ma i diffidenti e i pignoli possono indagare meglio con la conoscenza di alcune nozioni essenziali.
L’anguria si raccoglie dal campo, quando il peduncolo comincia a fendersi e la bacca raggiunge precise dimensioni, colori e profumi tipici di ogni varietà. In ogni caso, per la raccolta, devono trascorrere almeno quaranta giorni dal momento dell’allegagione, ma un ottimo metodo è quello che si basa sull’osservazione di quell’esile filamento detto “cirro” sito accanto al peduncolo, che sia secco, di color bruno, magari con qualche lenticella bianca che comunica la presenza di zuccheri. Le foglie abbassate che svestono al sole, la brillantezza della sua sfera è un buon segnale per il coltivatore di angurie, anche se ciò sul bancone del suo mercato non risolve, l'enigma dell’acquirente.
Per il citrullus vulgaris, nome scientifico del tipico frutto della zona di Nardò, la buccia matura prende il colore verde scuro con screziature grigiastre; in questo caso se il fruttivendolo te lo consente, non esitate a fare un leggero graffio sulla buccia che se si stacca con facilità, t’indica la giusta maturazione. Nelle varietà americane, quelle rigate, coltivate nel brindisino, il frutto è completo quando inizia a sbiadire, scompare il tipico naturale rivestimento ceroso o pruina, e la parte che ha poggiato sul terreno durante il suo sviluppo assume un colore giallo intenso. Il picciolo secco, se tagliato entro due settimane circa, generalmente, quando ha un colore che vira all’arancio ed emette ancora linfa, indica vivacità e dolcezza. Quando non si è ancora proprio sicuri, si può chiedere al venditore“la prova della bietta” che consiste nell’estrarre dal grosso frutto un piccolo tassello che permette di verificare lo spessore della buccia, che non deve superare il cm, l’intensità del colore della polpa scarlatto, splendente al sole e mai roseo e ricco di filamenti. Se questo non è possibile, allora un altro metodo classico è quello di “schiaffeggiare” o colpire senza esagerare, utilizzando il pollice e il medio o le nocche, la malcapitata anguria, magari accostando l’udito al polo opposto del suo punto di picchettamento. Se il colpo produce un suono simile al rimbombo che non abbia frequenze né troppo nette né troppo flosce allora l’anguria è ben matura. Ma la sua risonanza non dipende dal grado di maturazione, ma dalla presenza di fessurazioni nella polpa indice di squilibri nutrizionali, eccessi d’acqua, concimazioni errate o eccessive, presenza di molti semi. Non è il caso però di portarsi dietro un suonatore di tamburello per scegliere una buona anguria, meglio acquistarne qualcun’in più e mangiarne la migliore meglio se eticamente prodotta o da agricoltura biologica.
 
di Mimmo Ciccarese