Se vi capita fra le mani il libro di Antonio Perrone, ex-boss della Sacra Corona Unita, inevitabilmente accade di pensare all’affascinante volto di Claudio Santamaria, celebre attore, che nel film “Fina pena mai” interpreta colui che è stato l’esponente di spicco della criminalità organizzata pugliese durante gli anni ‘80. Il lungometraggio uscito nelle sale cinematografiche nel febbraio del 2008 si ispira al libro “Vista d’interni. Diario di carcere, di “scuri” e seghe, di trip e sventure” scritto appunto da Antonio Perrone, classe 1957, originario di Trepuzzi che abbandona gli studi universitari a Padova per inseguire il sogno di una vita fatta di eccessi, fino a ritrovarsi a capo della malavita salentina. Detenuto dal 1989 con l’accusa di associazione mafiosa, Perrone sta ancora scontando la sua pena, condannato a 49 anni di carcere è stato sottoposto anche a duri e lunghi periodi del regime 41bis. Davide Barletti, regista salentino, insieme al romano Lorenzo Conte e allo sceneggiatore Marco Sauro hanno realizzato il lungometraggio ambientandolo nell’entroterra salentino, lì dove si sono svolte le vicende narrate nel libro scritto in poco più di due anni (dal giugno 1999 al gennaio 2001) e pubblicato da Manni Editore nella collana “Pretesti”.
Sotto forma di diario ma rilevante come un documento storico è il testo “Vista d’interni” nel quale Perrone ricostruisce il suo percorso esistenziale raccontando delle prime partite di droga che giungevano nel sud e di come i ragazzi cadevano nel girone infernale della tossicodipendenza; delle rapine, del racket e del gioco d’azzardo. Così attraverso i ricordi si ricompone un capitolo di un passato sottovalutato a causa di una solidarietà omertosa, ma che oggi a distanza di anni si può ricostruire e delineare in tutti i suoi passaggi più cruenti. Il libro così come il film invita alla riflessione su alcuni importanti e attualissimi argomenti: la tragica condizione dei detenuti costretti a vivere in strutture sovraffollate e sull’ergastolo ostativo, una condanna ritenuta da molti incivile e inumana, definita da Giovanni Paolo II “una ritorsione sociale” in grado di annichilire la speranza del condannato che trova solo mortificazione.

Dopo il sodalizio avvenuto la notte di Natale del 1983, nel carcere di Lecce, dove si portò a battesimo la quarta mafia cosiddetta Sacra Corona Unita, esce proprio dalle celle di quel penitenziario, un libro che svela ciò che accade fra detenuti e agenti, le prepotenze, le violenze, la privazione della dignità che Antonio Perrone tenta di preservare scrivendo una storia, la sua. Attraverso una scrittura intima, profonda, piena di umanità, l’autore si presenta fra le pagine del libro né come eroe né come vittima, ma come uomo che non nasconde le proprie debolezze e che tenta di aggrapparsi agli affetti più cari, alla moglie e ai due figli. Il lettore oltre ad apprezzare la forte qualità letteraria dello scrittore può cogliere anche l’aspetto psicologico e sociologico di un quadro sociale descritto da colui che è stato vittima e artefice di un sistema criminale.

di Paola Bisconti