Dai dieci anni della Festa di Cinema del reale, Specchia 2013

Francesco Aprile

 

Sogni musiche città

Dieci anni di Cinema del Reale. Dieci anni e tre parole chiave. Sogni musiche città. Scrive Mimmo Pesare (Docente di Psicopedagogia dei linguaggi comunicativi, Università del Salento) nelle “Pagine di Cinema del Reale” che «da qualche tempo la Festa di Cinema del Reale propone le sue suggestioni lavorando attorno a un trittico di concetti all’interno del quale, di solito, una delle tre questioni rappresenta, se non il concetto fondamentale, almeno il collante che prova a sedimentare un tracciato comune. In questa edizione 2013 della Festa di Cinema del reale, mi pare che tale collante sia costituito dal tema dei sogni che, seppur in maniera carsica, probabilmente è la materia connettiva che disegna tanto gli scenari musicali, quanto gli immaginari cittadini». In preda al sogno come linguaggio indecifrabile questa edizione del 2013 si è strutturata come materia onirica fra le sale di Castello Risolo, a Specchia, dove le proiezioni paiono quasi voler amplificare la portata sognante dell’allestimento che circonda i visitatori, conducendoli in una narrazione del reale che nel castello è quasi come fosse traslata in un narrato altro, in un luogo,  reale o sognato che sia, che non sembra mettere in conto al programma della rassegna quella condizione per cui il risveglio dal sogno e la delusione ad esso associata, causa la diversità incolmabile dal reale, risulterebbero come una macchia. Così, la strutturazione di una realtà sognante all’interno del castello, attraverso le diverse installazioni, ci conduce, almeno nell’artificio, a violare quel “no” del filosofo alla possibilità di poter parlare, da svegli, di un sogno, portandoci quantomeno nel bilico fra il no del filosofo e quella diversa «risposta del poeta, dello scrittore o del saggista, del musicista, del pittore, dello sceneggiatore di teatro o di cinema. E anche dello psicoanalista. Costoro non direbbero no, ma sì, forse, talvolta. Direbbero sì, forse talvolta. Acconsentirebbero all’evento, alla sua eccezionale singolarità: sì, forse si può credere e confessare di sognare senza risvegliarsi» (Derrida, Il sogno di Benjamin, Bompiani, Milano 2003). Banco di prova è stato perdersi fra le installazioni, viaggiare fra le immagini delle proiezioni nel mentre lo sguardo appare dirottato fra i “Lumi in aria” che scorrono fra i passi nel castello, mentre si accoglie il dono in una stanza “In Fondo” alla re-stanza poetica che porta nell’abitare un luogo come modo culturale diverso, fino alle “Case dei sogni”, all’Ubu Re, alle installazioni video che animano i passi mentre si aprono al sentire.

I Bertolucci e la Bologna sognata

Dodici città. Dodici luoghi raccontati da dodici sguardi diversi. Dodici città italiane scorrono attraverso gli sguardi e le visioni di dodici registi italiani. Bari - Lina Wertmüller, Bologna - Bernardo e Giuseppe Bertolucci, Cagliari - Carlo Lizzani, Firenze - Franco Zeffirelli, Genova - Alberto Lattuada, Milano - Ermanno Olmi, Napoli - Francesco Rosi, Palermo - Mauro Bolognini, Roma - Michelangelo Antonioni, Torino - Mario Soldati, Udine - Gillo Pontecorvo, Verona - Mario Monicelli. Sabato 27 luglio. L'ultima serata del festival di Cinema del Reale. C'è una proiezione, il video girato dai Bertolucci racconta di una Bologna inedita, di una pluralità di sguardi che abitano la città forse senza sentirne il peso. Le danno un senso. Siamo nel 1990, una bambina vestita di rosa termina la conta, ha forse addosso il respiro della città, la incarna, la trasmette a chi incantato insegue il se stesso bambino mentre s’apre il documentario dei Bertolucci nel rintocco del nascondino, dei bambini che giocano. «1, 2, 3...98, 99, 100... chi è fuori è fuori chi è dentro è dentro», scandisce la voce della bambina. Poi. Il passo si apre e raccoglie in gioie i secoli della città. Il gioco ha inizio. I bambini che corrono, i bambini che giocano sono ciceroni inediti lungo le strade antiche della città, la popolano, le ridanno nuova vita, nuova linfa, agiscono lungo il tessuto urbano ridestandolo dall’accumularsi della folla, che nel video è assente, cede il passo ad un tempo che appartiene a tutti, e che forse tutti prima o poi abbiamo tradito. Il video si sostanzia di un respiro magico, incantato, tradisce il tempo ridonandolo ai suoi spettatori come nuovo, diverso. Il gioco, il gioco. I bambini che corrono sono il suono della città, la sua voce, i suoi passi. Hanno occhi che vedono in modo diverso, ed in modo diverso ci restituiscono il quotidiano. Poi un teatrino. Le marionette irrompono nel gioco del nascondino. Ancora s’accende la dimensione della città in visioni lontane nella memoria, ancorate al nostro respiro più puro. Il giorno e poi la sera. S’accendono le luci dei lampioni. La città ai bambini. Continua il gioco, racconta la città, viva, in urla di festa.