Nell’ottobre del 2005 usciva per conto della casa editrice Manni “Dialogo sulla legalità”, un libricino di 70 pagine nato da una conversazione tenutasi a Melpignano il 31 luglio dello stesso anno fra don Luigi Ciotti e Nichi Vendola. Il volume, oltre a riportare gli interventi dei rappresentanti del mondo religioso e politico, è arricchito da 14 schede di approfondimento su episodi, decreti e personaggi  legati al tema della giustizia. Una nota dell’editore chiude il testo dedicato a Francesco Fortugno, esponente della Margherita e vicepresidente della Regione Calabria, ucciso a Locri il 16 ottobre di otto anni fa.
Un salto nel tempo, ma nulla è cambiato da allora. Continuano le mattanze per opera della criminalità organizzate; moltiplicano le faide tra i clan; dilaga la corruzione nella zona grigia che comprende politica, sanità, imprenditoria; prospera il commercio di droga, la prostituzione, la speculazione sul traffico di rifiuti tossici. Pochi passi in avanti sono stati fatti da allora nonostante la cultura della legalità abbia preso il sopravvento nelle scuole o nelle piazze dove aumentano gli incontri e le iniziative rivolte soprattutto ai giovani.
E allora cosa fare? Come affrontare un’epidemia che niente sembra essere in grado di debellare? Di certo non possiamo arrenderci ne’ lasciarci assuefare dinanzi al susseguirsi di eventi mafiosi. Dovremmo quindi riascoltare, in questo caso rileggere le parole che urtano la coscienza come quelle pronunciate da don Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, la sera del 31 luglio a Melpignano: “Ci deve essere un fuoco dentro di noi, una fiamma che ci permetta di sconfiggere l’indifferenza e la rassegnazione, due malattie mortali che si sono diffuse nel nostro Paese” e aggiunge “Vi auguro il diritto alla rabbia perché vuol dire reagire, prendere coscienza perchè tocca anche a noi assumerci la nostra quota di responsabilità, dare una mano a governare, partecipare. La rabbia può essere un atto di amore per le cose che si amano”.
 La prima scheda del libro, che ben si colloca nel discorso di don Ciotti, racconta chi per primo mise in pratica l’indignazione, un sentimento così forte che consentì a Peppino Impastato di rompere le catene dell’omertà e gridare ciò che già tutti sapevano, ma che nessuno prima di lui aveva avuto il coraggio di dire. Con la stessa fermezza nel voler cambiare lo stato delle cose, nel 1995 don Ciotti fu autore della petizione popolare che chiedeva allo Stato una legge in grado di consentire il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati alla mafia. La raccolta di firme ebbe un enorme successo infatti fu promulgato il decreto 109/96. Nel libro gli approfondimenti si susseguono e riportano le storie del commissario Beppe Montalto, vittima di un agguato mafioso nel 1985, e del giornalista Tom Benetollo, sempre attivo nella difesa dei diritti umani.
Le parole di Nichi Vendola, ottimo oratore e apprezzato scrittore/poeta, compongono la seconda parte del testo dove sono frequenti le citazioni di grandi intellettuali come la filosofa Anna Harendt che per spiegare l’ascesa del nazismo usò l’encomiabile espressione “banalità del male”. Lo stesso male che condusse la mafia ad uccidere brutalmente Graziella Campagna solo perché suo  malgrado era venuta a conoscenza di una verità inconfessabile.
Oltre agli approfondimenti sulle principali associazioni criminali italiane (Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita) si legge un’immancabile riferimento a don Tonino Bello che diceva “il male non è l’esercizio del “mostro” ma è l’esercizio del “nostro”, abita dentro i nostri recinti, si nutre delle nostre assuefazioni, vive delle nostre codardie, delle nostre rinunce”. L’attualità di alcuni messaggi come quello di seguito citato, irrompono con una forza travolgente tanto da riuscire a smuovere quelle anime ancora dormienti di chi crede che spetta unicamente alle forze dell’ordine e alla magistratura superare il problema della mafia. In realtà, come ci ricordano don Ciotti e Nichi Vendola, relatori di un incontro dove si notava più l’assenza che la presenza di alcuni personaggi politici “distrattamente” mancanti all’appuntamento di quel 31 luglio 2005, siamo tutti chiamati in causa nel compiere la realizzazione di un cambiamento radicale e indispensabile per il bene della società.

di Paola Bisconti