Da giugno scorso l’APE ha sostituito l’ACE, questo è quanto ha disposto la normativa nazionale in materia di certificazione energetica. Sono questi i due acronimi che segnano piccoli, ma sostanziali cambiamenti in materia di sostenibilità dell’edificato nel panorama edilizio nazionale: l’Attestazione di Prestazione Energetica, detta A.P.E., recepisce infatti la normativa comunitaria dettata dalla Direttiva 2010/31/Ue e prende il posto dell’Attestazione di Certificazione Energetica abrogando e sostituendo quanto in vigore con la Direttiva 2002/91/Ce.

In Puglia, questo non è ancora avvenuto poiché si è in attesa del recepimento da parte della stessa Regione della normativa nazionale, quindi l’Attestazione di Certificazione Energetica degli edifici segue ancora il Regolamento Regionale n. 10 del 10 Febbraio 2010.

Mentre si attende che anche qui l’Attestazione di Prestazione Energetica imponga una maggiore attenzione alla prestazione energetica anche degli edifici esistenti, più in sordina il Protocollo Itaca approda in Puglia.

Si tratta di una sostanziale promozione ed incentivazione all’innovazione dell’abitare sostenibile in base a quanto già approvato con la L.R. n.13/2008.

La scelta regionale mira dunque ad un concreto sforzo da parte dei progettisti e dei costruttori nello standardizzare la qualità della pratica del costruire sostenibile.

In tempi non recenti, il termine "sostenibile" racchiudeva un concetto aleatorio e talvolta neanche oggettivo, ma serviva a sponsorizzare ed a lanciare operazioni immobiliari, oggi il Protocollo Itaca lega questo termine ad una pratica costruttiva definibile e perfino "quantificabile" visto che si dovrà dire quanto un edificio è sostenibile.

Se da un lato quest’innovazione rappresenta una concreta opportunità per i progettisti ed imprenditori di poter rilanciare il mercato immobiliare turbato dalla grave congiuntura economica del settore, dall’altro è per la committenza o per l’usufruttuario sinonimo di qualità costruttiva ed energetica di un immobile.

Ad oggi a frenare quanto introdotto dalla Regione è principalmente la scarsa conoscenza delle procedure burocratiche e dei materiali e questo non solo da parte dei committenti, ma anche da parte dai Comuni per i quali si stanno avviando iniziative di formazione.

Per il progettista il Protocollo d’Itaca presuppone il dover affrontare una serie di scelte progettuali e costruttive preliminari al progetto stesso, che se da un lato allungano la fase progettuale, dall’altro accelerano quella costruttiva.

A mio avviso anche nel caso di committenza privata, il relativo allungamento della procedura di progettazione non deve essere inteso come un valore negativo al sistema, ma al contrario deve essere percepito come la possibilità di maggiore controllo del progetto e quindi del budget di costruzione.

Scelte tecnico-progettuali e qualità costruttiva diventano in questo modo un binomio indissolubile ed una prerogativa esclusiva del progettista dove c’è poco spazio a varianti in corso d’opera.

Anche l’inserimento di nuovi materiali e pratiche costruttive più performanti sono in generale bloccati da dilaganti pregiudizi e dai maggiori costi d’impiego: questo è quello che frena la committenza anche di fronte a dati che evidenziano migliori prestazioni energetico-costruttivo e di manutenzione di un edificio.

Ora, per essere in regola con la normativa vigente, l’ottica d’impiego dei materiali e della tecnica costruttiva è finalmente cambiata e la sostenibilità si appresta ad essere un valore tangibile.

Il Protocollo d’Itaca è un modello costruttivo che non solo contiene i presupposti per il miglioramento dell’abitare e della vita in generale, ma sono le basi di un imprescindibile perfezionamento delle tecniche del costruito che, senza peraltro abbandonare i materiali locali, mira a migliorarne l’utilizzo implementandole con le ormai dovute considerazioni energetiche.

di Alessandra Paresce