assedi Era il 29 luglio 1480 quando una flotta composta da 90 galee, 15 maone e 48 galeotte, con 18.000 soldati a bordo approdarono a Otranto. L’armata guidata da Ahmet Pascià incaricato da Maometto II, invase la città idruntina, irruppe fra le strade, massacrò gli abitanti con una ferocia inaudita. Ciò che rimane di quell’assedio cruento non è solo il ricordo di una tragedia e neppure i testi storici scritti per ricostruire i fatti, ma resta il sacrificio di 800 martiri che mossi da una fede incrollabile “accettarono di morire per non barattare la fede in Cristo Gesù”.
A soffermarsi sull’episodio che si verificò il 13 agosto del 1480 all’interno della Cattedrale è Deborah De Blasi, sofisticata penna che per Zane Editrice ha composto un dramma ricco di contributi critici che delineano le peculiarità del testo e le qualità stilistiche di un libro che è diventato canovaccio di uno spettacolo teatrale andato in scena con la regia di Annemette Schlosser Bernardelli.
L’autrice ha intuitivamente donato voce alla chiesa che come un grembo materno accoglie i suoi fedeli, così la Cattedrale di Otranto dialoga con Santa Sofia, la magnifica basilica di Costantinopoli, bruciata il 29 maggio del 1453. Un Coro alla greca racconta la crudezza della vicenda mentre alle sirene sono affidate le riflessioni sull’uomo e sulle sue azioni spesso dettate dalla scelleratezza.
Come fa notare Annalisa Montinaro, nella nota dell’editore, fra i dialoghi emerge un “principio femminile” che è chiamato a contenere il mondo, lo conferma anche Giuliana Coppola nella prefazione dove scrive “l’autrice coglie il senso dell’umanità nella sua storia”. In questa ballata di voci che si inseguono e si intrecciano, scrive l’Arcivescovo Donato Greco, “il martirio si erge oltre il muro del tempo perché quegli uomini continueranno ad essere protagonisti nella celeste visione beatifica”. Sorge spontaneo, infatti, domandarsi come mai di fronte a una vicenda straordinaria come questa siano dovuti trascorrere cinque secoli prima che essi venissero proclamati beati.
Ricordiamo i vari passaggi: il 5 ottobre 1980 Giovanni Paolo II si reca a Otranto per venerare le vittime del sacrificio; il 6 luglio 2007 Benedetto XVI riconosce loro il titolo di martiri infine il 12 maggio 2013 Papa Francesco celebra la canonizzazione. Ecco allora che Alfredo Mantovano tenta di rispondere al quesito scrivendo “oggi è il momento giusto per porli al centro del mondo e della Storia, per far sì che loro, ignoti pescatori, artigiani, pastori e agricoltori, siano il punto di riferimento, della fedeltà a Cristo ovunque nel globo e dell’amore per la Patria terrena”.
Il libro quindi ha una duplice funzione: quella di ricordare il sacrificio dei martiri ma non come semplice cronaca di eventi passati e quello di risvegliare la fede nelle coscienze degli uomini. Ecco allora che le cattedrali, scrive Vito Papa nel II Postludio “sono fatte per proiettarsi verso le cose superiori che sono divine. Restituiscono i volti e la fede dei padri. Trasformano un assedio in un risveglio”.
Se è vero che “la memoria è il presente del passato” come diceva Sant’Agostino citato da Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, nel I Postludio allora questo libro rappresenta l’assedio dell’anima di una forza primigenia che vede l’uomo lottare eternamente fra il bene e il male. In questo perenne scontro si da risalto a un’aurea divina che avvolge l’essere umano di una santità che potrebbe essere raggiunta da ciascuno di noi.

di Paola Bisconti