Il Sud è donna. Genera vita. Offre la rinascita. Lo sussurra il vento che agita lievemente le foglie della vigna. Lo ricorda ogni giorno il sole che risplende sull’uva matura, quella che dona il buon vino.
Arrivata qui, la sensazione della luce era più forte di tutto, uno splendore che non avevo mai visto. Mi sembrava di essere nata”. Deve aver pensato questo Teresa Manara quando nel 1950 lasciò Imola per raggiungere il Salento. Una donna che  aveva un progetto assurdo “e quell’assurdità era la vita”.
Di un’esistenza rara come il vino a lei intitolato e prodotto dalla cantina Cantele, Luisa Ruggio ha scritto il suo nuovo libro, “Teresa Manara”, Edizioni Controluce-Besa. I discendenti dell’omonima cantina infatti hanno dedicato a colei che ha reso celebre in tutto il mondo il prodotto di una terra da lei stessa definita come un “Sud dimenticato”, un negroamaro che dall’aroma ripercuote un’espressione audace e decisa con una sensibile finezza che tanto ricorda la protagonista del testo.
Ma “Teresa Manara” non è una biografia romanzata. Nel libro la Ruggio stravolge ovvietà e banalità restituendo con armonia letteraria, la sensibilità di una grande donna fondendola all’estrema semplicità che ha caratterizzato un territorio relegato ai confini dell’Italia che stentava a rialzarsi dopo il secondo conflitto bellico mondiale che tanto aveva segnato la protagonista: “Mentre gli industriali pensavano a ricostruire quel che restava del Paese, quaggiù le donne erano spesso incinte e colmavano a piedi grandi distanze per una giornata di lavoro, portavano secchi d’acqua, non credevano potessero esistere ferri da stiro elettrici, credevano solo alle braci, ai panni strizzati a mano, a un ragno fatale, preparavano conserve di frutta e salsa di pomodoro nell’insopportabile calura della stagione e ricamavano lenzuola seguendo i disegni di teneri pistilli che un giorno si sarebbero macchiati col sangue vergine delle loro figlie”.  
La scrittrice inoltre non intende raccontare esclusivamente la straordinarietà di una donna che decise di compiere un viaggio al contrario seguendo la direzione opposta proprio nel periodo in cui tutti fuggivano da una regione che offriva poco o nulla ai suoi abitanti. Luisa Ruggio dona molto di più. “Voglio vivere qui” pensava Teresa Manara “voglio invecchiare in questo stadio intermedio, questo imene lacerato dal mare che lo separa dal nord Africa” scegliendo così insieme al marito Giovanni Battista Cantele e ai figli Augusto e Domenico di fondare a Guagnano la cantina che oggi porta il suo nome.
Luisa Ruggio verga pagine intrise di una bellezza fuori dal comune prendendo spunto da quello che il suo amico Paolo Cantele le riferì durante un’intervista fatta tra le vigne di un luogo denso di storia. E fu esattamente durante i giorni di vendemmia che il racconto di Teresa Manara si offrì all’autrice che con ineccepibile abilità stilistica ha scritto il suo terzo romanzo incantando ancora una volta i numerosi lettori.
Il modo in cui la Ruggio descrive il Salento narrando vicende colme di fascino come quella di Teresa Manara e riportandole con soave dolcezza in una scrittura che allude ad una musica armoniosa è estremamente raro. La preziosità di ogni singolo capitolo e la maestranza nel collocare termini dialettali come tasselli di un mosaico di parole contribuisce a compiere un viaggio onirico rendendo il romanzo impareggiabile.
Teresa Manara” è uno sguardo al passato, a ciò che siamo stati e che forse avremmo voluto essere. E’ la capacità di sentirsi tanto fragili quanto pronti a nascere una seconda volta “non attraverso le contrazioni di mia madre” scrive Luisa nei panni di Teresa “piuttosto attraverso una certa meraviglia d’esserci”.

di Paola Bisconti