Tanto di cappello per l'organico capitolino, che in campo tende al fraseggio prolungato, lento, spesso stucchevole, ma sicuramente tecnico e palleggiato.
Gioco questo dalle tendenze  iberiche dettate dalla provenienza di Fonseca, trainer romano ultimo.
Resta noto ed evidente che tale gioco richiede spazi, varchi, corridoi e libertà di azione dei giocatori protagonisti.
Il primo obiettivi della squadra contrapposta dovrebbe quindi essere quello di impedire lo sviluppo della manovra attraverso chiusure, marcature, coperture e sano agonismo. In pratica come fatto dall'Atalanta nel turno infrasettimanale che ha steso all'Olimpico Zaniolo e Company.
Il Lecce di Liverani invece, pur arretrando il proprio baricentro con lo scopo di bloccare e ripartire, non riesce a spogliarsi dall'abito elegante, affronta i capitolini quasi con le loro stesse armi, finendo per buscarle la terza volta di fila al "Via del Mare".
Per intenderci, il risultato poteva pure essere diverso premiando i giallorossi nostrani per l'impegno profuso e le occasioni procurate, ma il "troppo stroppia" con la libertà e le tante opportunità concesse,  che hanno finito per indirizzare la gara verso gli avversari. Se pur con un solo gol di Dzeko, siglato a seguito di errore madornale di Mayer in uscita dall'area propria, e successivo servizio pennellato di Kluivert per l'ariete, che solo soletto schiaccia di testa in rete.
L'andamento lento nel controllo di gioco ed avversari penalizza ancora una volta il Lecce, che pur dimostrandosi dignitoso e meritevole di altri destini, non riesce proprio a svestire l'abito di festa, a volte narcisisticamente autolesiosinistico.