Scalare una montagna, soffrendo ed arrampicandosi con qualità indiscusse, per poi zoppicare giunti in cima, finendo per quasi rovinare un'impresa pregevole, vuole anche dire peccare fortemente d'ingenuità costitutiva.
È la storia in amarcord di Samp-Lecce, con una vittoria costruita giocando e soffrendo senza risparmiarsi, per poi cedere il passo al fotofinish, distratti nell'organizzazione dell'ultimo attacco avverso, derivante da un angolo battuto a spiovere.
Petriccione sul primo palo e Ramirez libero di saltare e schiacciare indisturbato, ne sono la testimonianza cocente di un'ordine precario, se pure con energie psicofisiche già metabolizzate.
Il duro verbo della massima serie, legato ad episodi apparentemente normali, ma decisamente impossibili da trascurare, in questo caso specifico colpisce un Lecce meritevole di ben altro destino.
Pur condannando Tachtsidis per una stupida colpevole espulsione, cercata capoticamente, diciamo subito che centra poco o niente sul gol subito al 90' con la difesa schierata.
Un Lecce finalmente autorevole, ordinato nelle posizioni, dal gioco fluido, manovriero, se pur poco incisivo, ma confortante anche in contenimento, aveva seminato molto di più di uno striminzito pareggio.
Al cospetto di una Samp da horror per tenuta fisica, raccapricciante nel gioco, spalancata a cielo aperto in difesa, manifestamente inferiore in tutto, i salentini erano saliti in cattedra andando in vantaggio su azione lampo Shakhov-Lapadula.
La netta superiorità in campo faceva sperare nella stoccata vincente che i puntrios giallorossi si trastullavano ad affondare, finendo poi per incassare il pari da una squadra allo spasimo, con poca arte e parte.
L'ultima scivolata, se pure in parte piacevole, testimonia una ritrovata affidabilità del gruppo giallorosso, che non può assolutamente sprecare punti preziosi in big match d'importanza vitale.