Sulle ali della tempesta/ vagai per giorni/ funestato dai presagi;/ In balia delle onde,/ il terrore negli occhi,/ scrutai il mare oscuro,/ periglioso, nero e impetuoso,/ il vento assordante/ ululava la mia fine.../ Naufrago mi ritrovai/ come Ulisse/ sull'isola detta dei Conigli,/ nel dolce crepuscolo,/ sfinito.

Lo so… sono un pessimo poeta, ma che ci volete fare, è l'istinto che mi fa volare, sulle ali della poesia, "il naufragar m'è dolce in questo mare". Mi piace leggere, leggo tanto, prosa e versi, preferisco le poesie di Leopardi, Pascoli, Carducci, D’Annunzio, Montale, Ungaretti, Quasimodo, Saba, poesie semplici, evocative, chiare, anche se scritte in passato, alcune più di un secolo fa, in un italiano desueto, un tantino stantio, ma piacevole. Vi svelo un segreto: si può viaggiare anche leggendo, spesso è bellissimo viaggiare con la mente, l'immaginazione non ha confini. Ah, lo sapevate già, come non detto. Sono qui a Porto Cesareo, lo avete capito, immagino; sono in vena di girovagare, l’aria frizzante d’inizio primavera è invitante, riparto da qui per un tour in sella alla moto nella mia splendida terra. Il mare turchese, l’isola dei Conigli… una profonda boccata d’aria e via. L’Isola dei Conigli o Isola Grande di un piccolo arcipelago di isolette, fa da orizzonte a indimenticabili tramonti, qui, in questo antico borgo di pescatori, con la Torre Cesarea fatta costruire nel cinquecento da Carlo V, le spiagge di sabbia finissima, ora lidi rinomati per le vacanze estive. L’isola deve il suo nome ad un allevamento di conigli e di altro bestiame presente in passato. In tempi di guerra e di fame. Tutta l’area circostante appartiene alla Riserva marina di Porto Cesareo, protetta dal 1997, che si estende fino a Punta Prosciutto a nord e a Torre dell’Inserraglio a sud. L’avventura comincia, faccio poca strada verso nord sulla litoranea per vedere questa imponente torre. Di epoca cinquecentesca, ben conservata, con una scalinata possente su tre archi, Torre Lapillo è un vero baluardo sul mare. Forse incuteva paura ai naviganti nei secoli scorsi. Carlo V la fece costruire intorno al 1568, allora vi era un ponte levatoio al posto del terzo arco, apparteneva al sistema difensivo contro le scorribande dei temuti Saraceni. La Torre delimita a nord una splendida insenatura sabbiosa con vari stabilimenti balneari, mentre a sud della baia c’è Torre Chianca. All’interno della Torre Lapillo, conosciuta anche con il nome di Torre di San Tommaso, c’è un piccolo museo da visitare nei mesi estivi.

Bene, via, si parte, con la mia moto scalcinata a tutta birra per le strade del Salento, assolate, ventose. Nell’entroterra sembra di vivere in luoghi quasi deserti, distese di vigneti si alternano ad uliveti, poi la vita si riaccende nei paesi. Ed eccomi presto a Corigliano d’Otranto, sono qui per vedere il Castello de’ Monti. Che meraviglia, forse il più bello della provincia. Trasuda il passato dalle sue pietre leccesi. Costruito nel XV dalla famiglia de’ Monti (de Montibus), alla quale fu concesso il feudo da Ferdinando I d’Aragona, su un nucleo storico preesistente del XIII secolo (Angioino). In seguito il Castello è stato ampliato e ristrutturato. L’intero centro abitato fu dotato di mura e torri già nella seconda metà del XV secolo, notevole esempio di architettura militare per difendersi dalle incursioni dei Turchi (assedio di Otranto -1480). Nei primi anni del ‘500 vennero aggiunti i quattro torrioni angolari a pianta circolare, la piazza d’armi, la “cavallerizza” (stalla) ed il fossato, mentre il bellissimo portale della facciata con un balcone sovrastante e statue nelle nicchie fu terminato nel 1667 dai Trani, i nuovi proprietari del sontuoso maniero. Le quattro torri orientate verso i punti cardinali sono intitolate in segno di devozione e protezione a San Giovanni Battista (sud-est), San Michele Arcangelo (nord-est), S. Antonio Abate (nord-ovest) e San Giorgio (sud-ovest); i Santi sono raffigurati nei bassorilievi vicino all’arme araldica dei de’ Monti e alle allegorie delle virtù sulle quattro torri. Da circa un decennio il Castello è diventato un contenitore culturale molto apprezzato, al suo interno si svolgono mostre varie, rassegne, eventi, festival, cinema, teatro, convegni ed altro ancora. Una visita per i turisti che vogliono conoscere meglio questa terra è irrinunciabile. Nelle lunghe e calde serate estive è un luogo suggestivo da frequentare, un gelato, o una birra da sorseggiare nel bar sul terrazzo del Castello, al fresco, o nell’accogliente cortile centrale.

Via, via, Amerigo, si vola via, dal Castello volante alla cava di Otranto il passo è breve. Le distanze sono brevi e le strade ben percorribili. Un altro luogo incantevole, tutto da scoprire, lo vedi quasi all’improvviso dietro alla meravigliosa baia delle Orte con il faro della Palascia a sud-est e non immagini di trovare qui un posto che sembra lunare, o marziano per il colore della sua terra rossa “metallifera”, ricorda un cratere di un meteorite. Aperta dal 1940 al 1976 per poi essere abbandonata, un tempo si estraeva l’alluminio dalla bauxite, ora un laghetto al suo fondo ha ridato vita e splendore alla natura. Il mare fa da sfondo a questo panorama mozzafiato. Il sogno dell’avventura qui acquista un fascino particolare. Sembra di essere sospesi su qualcosa di straordinario, di soprannaturale, irreale, magico, con lo specchio d’acqua che riflette la luce ed i colori a seconda della giornata. Vien voglia di farci un bagno, ma il laghetto non è balneabile. Il mio orologio da polso mi suggerisce che si è fatta l’ora di tornare in città, la mia Lecce. La bellezza e la luminosità di questi luoghi provoca uno strano stordimento.

 

Si torna nella mia bella piazza S. Oronzo al cospetto dell’Anfiteatro Romano. Ne abbiamo due a Lecce più un teatro romano, qualcosa di veramente raro, tra l’antica Lupiae e la vicina Rudiae. La stratificazione storico-architettonica di questa piazza è spettacolare. L’anfiteatro romano risale al secondo secolo d.C. di epoca Adrianea, ma altre fonti lo fanno risalire all’età Augustea (primo secolo d.C.), è probabile perciò che sia stato costruito in due fasi. In parte scavato nella roccia e in parte costruito su arcate e portici, doveva essere un bel colpo d’occhio. Riportato alla luce per poco più di 1/3 nel lontano 1938, fu scoperto nel 1905, ma se ne conosceva già l’esistenza, e dal 1 febbraio 1906 fu dichiarato "Monumento Nazionale". Gli scavi archeologici voluti dal celebre studioso Cosimo De Giorgi si protrassero dal 1900 al 1940, la scoperta dell’anfiteatro si ebbe durante la costruzione del palazzo della Banca d’Italia. La Chiesa di S. Maria delle Grazie con il largo antistante ricopre gli altri 2/3. La cavea dell’anfiteatro poteva contenere circa 12/14mila persone, un tifo da stadio. Il pubblico, protetto da un parapetto, assisteva ai giochi che si svolgevano nell’arena, per lo più combattimenti tra uomini e animali (leoni, tori,orsi), ma anche scene di caccia tra animali. Provate ad immaginare la scena, come nel film Il Gladiatore: “al mio segnale scatenate l’inferno”. Fantastico! Ok, mi ritiro a casa, Vespucci mi starà aspettando paziente nella sua cuccia. Lo devo portare con me qualche volta, lo vedrei bene con occhialoni su un sidecar, una bella motocarrozzetta di una volta. Scherzo. Un’altra bella giornata si è conclusa, torno tra i miei libri, le mie poesie. Il filosofo Benedetto Croce diceva che fino a 18 anni tutti scrivono poesie, dopo continuano i poeti veri e i cretini. Ho decisamente qualche anno in più… perdindirindina, forse dovrei cominciare a fumare. Alla prossima, se ci sarà l’occasione.            Amerigo                                                             (episodio 2 - testo e foto di S.B)