“Si, viaggiare”, cantava Lucio Battisti, “Evitando le buche più dure/Senza per questo cadere nelle tue paure/ Gentilmente senza fumo con amore/Dolcemente viaggiare/Rallentando per poi accelerare/Con un ritmo fluente di vita nel cuore/Gentilmente senza strappi al motore”, con l'immaginazione, con un documentario in tv, con un film al cinema, o con un libro memorabile. Per conoscere il mondo, o semplicemente la propria terra d'origine. In lungo e in largo, cosa c'è di più bello nella vita. Questo e poco altro. Contemplare la bellezza, il paesaggio, la storia, gli usi ed i costumi. Per dare un senso all'esistenza, occorre salvaguardare il creato. Come un umile viandante esploro la mia terra, pellegrino fra paesi, su antiche vie, masserie, castelli, chiese e conventi. Fa caldo. L’estate è alle porte, ho voglia di muovermi, andare in giro con la mia moto. Seguitemi.
Vi racconto l’antica Terra d’Otranto a modo mio, fino ai confini della terra, de Finibus Terrae, o Finis Terrae per gli antichi romani, la fine del mondo, visibile quando giungono i temporali dal mare, il luogo dove approdò l’Apostolo Pietro di ritorno dall’Oriente, episodio ricordato da una colonna con la “Croce Pietrina”. Sono qui, su questo piazzale con la colonna Mariana del 1694, dove fu edificato nel 1720 l’attuale Santuario dedicato alla Madonna, Santa Maria de Finibus Terrae, sopra ai resti dei precedenti edifici cristiani e del tempio di Minerva. Dal 7 ottobre del 1990 il Santuario è stato elevato a Basilica Minore Pontificia, all’interno è presente l’ara pagana della Dea. La chiesa è a croce latina, l’altare maggiore in marmo policromo con il quadro della Madonna con Bambino di Leuca, realizzato nel 1507 dal pittore fiorentino Giacomo Palma junior, allievo del Tiziano, il quadro scampò alla distruzione del Santuario salvandosi miracolosamente da un incendio del 1624. Un'altra Croce in pietra posta in fondo al piazzale ricorda il pellegrinaggio giubilare del 1901. Il 14 giugno del 2008 ci fu la storica visita del Papa Benedetto XVI al Santuario. Meta costante di pellegrinaggio, secondo una credenza popolare una visita al Santuario dà accesso al Regno dei Cieli, chi non la fa da vivo la deve fare dopo la morte. Il mitico approdo di Enea, qui a Santa Maria di Leuca, a Castro o a Porto Badisco. Recenti scoperte collocano l’approdo del leggendario guerriero, eroe troiano, a Castro, ma il culto alla Dea Minerva era probabilmente diffuso sul nostro territorio. Mi guardo intorno, il panorama è mozzafiato, il faro sul promontorio svetta come un guardiano sull’incantevole baia di Leuca. Alto 47 metri, in funzione dal 6 settembre del 1866, al suo posto a 102 metri sul livello del mare vi era la torre costiera di “Filippo II”, la lanterna segnala ai naviganti il promontorio Iapigio o Salentino, che abbassandosi verso il mare raggiunge la punta Meliso, barriera naturale del porto turistico che si estende fino a punta Ristola, incrocio tra i due mari. La punta più estrema del tacco d’Italia, il Capo di Leuca, spartiacque tra l’Adriatico e lo Ionio. E poi grotte costiere suggestive, del Diavolo, del Presepe, del Fiume, della Stalla, del Drago, dei Giganti, delle Tre Porte, visitabili con escursioni in barca, un’altra colonna dal 1939 fa da terminale dell’Acquedotto Pugliese con la sua monumentale cascata artificiale, eleganti ville in stile liberty, e torri di avvistamento ovunque, sullo Ionio e sull’Adriatico, alcune ben conservate, di altre rimangono solo i ruderi. Al mattino presto da qui si possono scorgere alcune isole greche, i monti dell’Albania nelle giornate terse, la Calabria al tramonto.
Mi rimetto in moto. Risalgo la costa adriatica verso nord e a pochi chilometri dalla Marina di Leuca raggiungo il “ponte del Ciolo”. Un altro spettacolo di questa terra benedetta. Un piccolo fiordo, un’insenatura stupenda, con alte falesie intorno tra spaccature nella roccia a picco sul mare, approda su una piccola caletta. Da qui, giovani temerari fanno tuffi acrobatici. Ci vorrei provare anch’io, ma per queste cose non sono un cuor di leone. Meglio prendere un caffè dal bar, lo sorseggio qui, sul ponte, ammirando il panorama. I colori del mare sono spettacolari. Tutta la località prende il nome dall’omonima “grotta del Ciolo”, un’altra bella grotta costiera del Salento, in quasi tutte sono state trovate tracce preistoriche. Il termine “Ciolo” deriva dal nome dialettale delle gazze, le “Ciole”, che spesso si nascondevano nelle grotte. Questa superba scogliera appartiene al comune di Gagliano del Capo. Poco più a sud la "Torre Nasparo" svetta sull’altura che domina Marina Serra e Marina di Novaglie. Uao, vien voglia di gridare a squarciagola, è bellissimo,incantevole, meraviglioso. Si “Meraviglioso” cantava Modugno. Tutta la litoranea è spettacolare, verso nord, falesie alte e frastagliate a strapiombo si alternano a scogliere digradanti verso il mare, Tricase Porto, Castro, Santa Cesarea, pinete, strade panoramiche, la litoranea piena di curve ad esse, spesso prova speciale del rally del Salento; ed ecco Porto Badisco, il litorale tra i più belli d'Italia, Torre S. Emiliano, la vegetazione più bassa, ciò che rimane della macchia mediterranea, l’aria afosa, il paesaggio roccioso e brullo, assolato, resti di antiche masserie nei dintorni, muretti a secco, la Palascia, Otranto alla vista.
Prima del Colle della Minerva mi fermo a vedere la Torre del Serpe, antica torre a base circolare e di forma tronco-conica, ora solo un affascinante rudere. Domina sul mare, a destra la baia delle Orte ed il faro della Palascia, a sinistra il porto di Otranto. Nel 1480 l’assedio dei turchi, proprio qui, su queste rocce lo sbarco. La distruzione dell’abbazia di San Nicola di Casole a poca distanza da qui. La resistenza degli otrantini, che non si convertirono e divennero gli 800 Martiri, Santi dal 2013, i cui resti si possono vedere nella cappella ossario della Cattedrale. Mi sembra di vederle ancora, le navi turche al largo, a poche miglia dalla costa, minacciose. La torre era, forse, l’antico faro in epoca romana, venne restaurata ai tempi di Federico II in pieno splendore dell’età federiciana; straordinarie leggende su un serpente l’avvolgono nel mistero, così popolari da essere oggi raffigurata nello stemma della città di Otranto. Lascio la strada panoramica del Parco Costa Otranto-S- Maria di Leuca e bosco di Tricase (istituito nel 2006), via, si riparte, rotta nell’entroterra salentino, a pochi chilometri dalla costa, mi ritrovo nella piazza di in un paesino tranquillo, al cospetto dei ruderi di un altro castello, quello di Palmerice, Palmericce, oggi Palmariggi. Un territorio molto antico, con numerosi dolmen e menhir preistorici nelle vicinanze (Giurdignano e Minervino), a due passi dal Santuario della Madonna di Montevergine (XVIII secolo) edificato su una cripta basiliana dell’VIII secolo con all’interno affreschi bizantini. Mi soffermo a guardare ciò che rimane del Castello Aragonese cinquecentesco, due torrioni circolari e poco più. Nobili castellani e cortesi donzelle anche in questo piccolo centro.
Bene, è ora di tornare, Vespucci mi starà aspettando come sempre per farmi le feste, ma non è solo oggi. A fargli compagnia c’è la mia ragazza, romana, un piacevole rapporto sentimentale a distanza, ognuno con la propria libertà, veniva a passare le vacanze nel Salento, a Torre dell’Orso. L’ho conosciuta qualche anno fa, durante una serata trascorsa nella piccola Sant’Andrea. Flavia, si chiama così. Rientro a Lecce, prima di ritirarmi nel mio nido passo dalla Basilica di Santa Croce. Bellissima, il capolavoro universale del Barocco leccese. Di epoca rinascimentale, fu abbellita nel corso del XVII secolo (fu edificata dal 1549 al 1646). Artefici principali di tanta bellezza furono il primo architetto Gabriele Ricciardi, poi l’architetto e scultore Francesco Antonio Zimbalo (dal 1606) e successivamente Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo (detto “lo Zingarello” e figlio di Francesco Antonio) autori del secondo ordine della chiesa, si racconta che i due artisti avrebbero scolpito i loro ritratti nei bassorilievi del rosone. In realtà i profili nascosti nelle fastose decorazioni sono cinque e non è certa la loro identità. Restaurata di recente, ora sfoggia all’interno una nuova illuminazione che ne valorizza ogni particolare. Un rosone monumentale su una fastosa facciata. Maestosa. Decorazioni, fregi, colonne, capitelli, cariatidi, la balconata, putti, animali, fiori, figure umane, finestre, statue, il portale, più sobria nella parte inferiore, più sfarzosa in quella superiore. All’interno tre navate, altissime colonne, capitelli ricchi di “fregi”, la grande cupola, numerosi altari sormontati da colonne tortili, volte a crociera laterali e soffitto ligneo al centro sulla chiesa dalla pianta a croce latina nel perimetro rettangolare dell’edificio. Una bellezza da patrimonio mondiale dell’umanità. Ho lasciato la mia moto vicino alla Villa Comunale, in questo largo antistante la Basilica si accede rigorosamente a piedi. Mi piace camminare, si attraversa il cortile del Palazzo dei Celestini, l’ex convento adiacente alla Chiesa oggi sede della Provincia e fino al 1979 anche del Museo Provinciale Sigismondo Castromediano il museo più antico della Puglia, e ci si ritrova nello spettacolare, scenografico piazzale antistante. Meraviglia tra le meraviglie. Sono troppo stucchevole, dite, per favore non rompete le scatole altrimenti divento scorbutico. Dal vostro Amerigo un cordiale saluto, a presto, forse… (episodio 3 – testo e foto di S.B)