Non ho voglia di lavorare oggi, affido tutto alle mie due commesse, brave e carine. Per me ci vuole un tuffo, mi devo rigenerare, Flavia, la mia ragazza, è tornata a Roma. Mi manca già. In sella alla mia moto, saluto Vespucci, lo porterò con me la prossima volta. Si parte, senza correre, ovvio. “Chi va piano, va sano e va lontano” dice un vecchio adagio, come dargli torto; per strada, nell’entroterra, posso contemplare gli ulivi secolari, interi boschi di ulivi, magnifiche sculture naturali. E poi muretti a secco, “pajari” piccoli e grandi, a pianta circolare o quadrata, alcuni su due livelli, e poi campi coltivati, prati fioriti in Primavera, alberi da frutto sparsi, i colori splendidi della campagna si fondono con i profumi della natura selvaggia, le sfumature di verde, di giallo, incontrano la terra di Siena bruciata e il marrone, le varie tonalità di ocra si mescolano con gli altri colori e l’azzurro del cielo. La campagna salentina è meravigliosa. Qua e là rimane ancora traccia della macchia mediterranea, dei vecchi boschi che ricoprivano il territorio. Altri tempi. Purtroppo soprattutto la cementificazione selvaggia ha fatto i suoi danni anche qui. Ma lasciamo perdere, godiamoci questa splendida giornata di sole. Il salentino indigeno ha la fortuna di scegliere il mare in base al vento, sullo Ionio se batte forte la Tramontana, sull’Adriatico se c’è lo Scirocco. Un grande privilegio, senza ombra di dubbio. Comunque ci sono posti riparati su tutti e due i versanti. Faccio rotta sull’Adriatico, oggi vado da costa a costa, “Coast to Coast, on the road” direbbero “l’americani”. Torno alla Palascia, un luogo bellissimo, una scogliera dal panorama mozzafiato, un luogo di mistero e contemplazione. Eccola Torre S. Emiliano, sul promontorio levantino, domina sull’azzurro sconfinato. La Torre cinquecentesca, quasi tutte quelle costiere risalgono a quel periodo storico, a forma troncoconica si erge maestosa a cinquanta metri sul livello del mare. Risalgo la costa verso nord, splendida, frastagliata, alte falesie si alternano a terrazzamenti digradanti verso il mare, una magia da sogno, sicuramente una delle coste più belle d’Italia. Nelle giornate terse si vede il profilo dei monti dell’Albania, qualcuno giura di aver visto l’isola di Ulisse, sicuramente si possono avvistare le coste dell’isola di Corfù. Antichi naviganti vengono alla mente, commercianti e marinai, greci e messapi, illiri, cretesi, fenici, antichi egizi, solcavano questi mari, monaci Basiliani e scorribande turche, nei secoli passati. Itaca è il Salento, l’antica Terra d’Otranto, il tacco dello stivale, la penisola arsa dal sole e battuta dai venti, avamposto per esploratori da oltremare. Sogni, di viaggiare indietro nel tempo… Alcuni sentieri permettono di raggiungere il faro di Punta Palascia, il promontorio più a est d’Italia, il Capo d’Otranto, dove sorge il primo sole dell’anno. Il Faro è divenuto da alcuni anni un centro culturale e naturalistico molto attivo, è anche sede di una stazione meteorologica. In questo immenso orizzonte sul Canale d’Otranto, secondo alcune convenzioni nautiche, i due mari, lo Ionio e l’Adriatico, si fondono. Guardo il mare e la scogliera, se non è un Paradiso in Terra questo. Un profondo senso di libertà mi avvolge, una smisurata voglia di avventura. Più avanti la Baia delle Orte, i ruderi dell’abbazia di San Nicola da Casole, cenobio basiliano, punto di riferimento nel Medioevo. Da lontano scorgo la Torre del Serpe e la Croce del Papa, edificata in ricordo della visita di San Giovanni Paolo II il 5 ottobre del 1980. Non attraverso Otranto, ci tornerò un’altra volta. Dalla litoranea raggiungo presto la pineta dei Laghi Alimini, il profumo inconfondibile dei pini e la loro fresca ombra, più avanti, pochi chilometri dopo, devio per Sant’Andrea, qui, sullo sterrato, ammiro gli spettacolari faraglioni, da cartolina. Dalla scogliera alta giungo sul promontorio che domina l’incantevole baia di Torre dell’Orso, con la pineta alle spalle della lunga spiaggia e le mitiche “Due Sorelle” a poca distanza da qui. La leggenda narra di due sorelle che si tuffarono dalla scogliera con il mare in tempesta per cercare un po’ di riposo dal lavoro quotidiano. Non riuscirono più a tornare a riva, gli Dei commossi le tramutarono nei due caratteristici faraglioni. Altre leggende avvolgono questa baia, come quelle sull’origine del nome di Torre dell’Orso. Fatevele raccontare da qualcuno del posto. Ora, un tuffo me lo merito in queste acque azzurre, scendo in spiaggia e faccio il bagno. Pausa. Vecchie grotte di pescatori tra le falesie rocciose, alcune preistoriche come quella di San Cristoforo con all’interno antichi graffiti, la torre di avvistamento anche qui, cinquecentesca a base quadrata e in buona parte diroccata. L’acqua fresca è rigenerante, mi tonifica. Mi rilasso al sole quindici minuti e riparto. Ma prima di mettermi in moto, gusto un caffè in ghiaccio ed un pasticciotto leccese al chiosco del lido, prelibatezze locali da provare almeno una volta. Guardo il panorama dal belvedere e via. Si va da costa a costa, passando per l’entroterra, una fortuna potersi alzare la mattina e decidere dove andare, a Gallipoli o a Otranto, a Porto Cesareo o a Castro. Nell’entroterra il paesaggio è prevalentemente pianeggiante, alcune colline, le Serre salentine, formano una lieve dorsale che taglia la penisola da nord a sud; attraverso piccoli paesi laboriosi e immobili al tempo stesso, ed ancora boschi di ulivi, vigneti, muretti a secco, pajari o furnarieddhri e masserie fortificate e belle, come quella di Torcito (XIII e XIX secolo) a Cannole, ad esempio. Molte di queste antiche masserie sono oggi splendidi e rinomati agriturismi. Nei vari sentieri salentini è facile imbattersi in escursionisti in bici o a piedi. E così via, mi ritrovo sul mar Ionio, a Santa Caterina, elegante località balneare, tra splendide ville (località Le Cenate), la piazza caratteristica, l’insenatura tra le due torri quadrate che dominano i promontori circostanti, La Torre dell’Alto verso nord e la Torre di S. Caterina verso sud, un luogo amato dai villeggianti. Siamo fortunati, non si può dire altro. Respiro aria a pieni polmoni. E via, rotta verso nord, costeggio il Parco di Porto Selvaggio (già riconosciuto nel 1980 e regionale dal 2006), magnifico, difeso con il sacrificio di una grande donna, Renata Fonte, di Nardò, uccisa dalla malavita locale nel 1984 per essersi tenacemente opposta alla distruzione del parco. Anche qui una costa rocciosa e frastagliata, pinete, macchia mediterranea e insediamenti preistorici, come la grotta del Cavallo nella baia di Uluzzo. L’uomo Uluzziano viveva nelle grotte naturali di questa area, zone archeologiche importanti (paleolitico). Altri giganti verso nord alla vista, il Cavalier di ventura, Amerigo Amerighi, di nobile stirpe, li affronta tutti con coraggio, fino a raggiungere uno dei più massicci e poderosi, il gigante di Sant’Isidoro. Una sfida a singolar tenzone, senza colpi di scena, un po’ Don Chisciotte un po’ Brancaleone, di fronte a questa sinfonia di colori. Che splendidi tramonti sotto la torre. Mirabolanti quando il cielo è sereno e il mare è calmo. A buon intenditore poche parole. La Torre cinquecentesca è di forma quadrata con la base tronco-piramidale ed una scalinata su due archi. Per oggi il tour è finito. Rientro in città, la mia Lecce, ma prima di andare al cinema voglio vedere il Teatro Romano, un altro gioiello nascosto nel centro storico. Dalla piccola via Arte della Cartapesta, che costeggia la Chiesa di S. Chiara, si arriva facilmente al teatro, scoperto nel 1929, neanche cent’anni fa. Il Teatro Romano risale alla stessa epoca dell’Anfiteatro di Lecce. Nell’antichità chissà quanti spettacoli, in scena le più grandi tragedie classiche, sono visibili l’orchestra, i resti del proscenio e i dodici gradoni, che potevano contenere almeno 5mila spettatori. Eschilo, Sofocle, Euripide, Plauto, si rappresenta il teatro antico, provate ad immaginare la scena. Che luoghi straordinari. Pensate che negli scavi rinvenuti nei dintorni, tra Palazzo Vernazza e la Chiesa di San Matteo, era presente il culto a Iside, una dea egizia. L’antica Lupiae, una città aperta alla storia. Bene, dopo tanta bellezza, stasera vado a vedere un film nell’arena dei Teatini.Non la forza, ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo”. E qui “mi taccio”.                                                (episodio 4 - testo e foto di S.B)