Il Rischio del controllo dell'opinione pubblica
(NdR. Dal panorama nazionale all'ambito locale il passo è breve. Il nostro territorio, la vivace e popolosa provincia di Lecce, non è esente da tali tematiche e problematiche concernenti la Comunicazione e l'Informazione. Dalle storiche testate, come la Gazzetta del Mezzogiorno e il Quotidiano di Puglia, alle radio e tv locali, passando per la piccola editoria fino a giungere al web con numerosi siti, blog e pagine Fb.)
Giovanni Delle Donne
Giornalista professionista, sceneggiatore, autore teatrale
La pandemia da Covid-19 che sta sconvolgendo il nostro modo di vivere, ci ha fatto vedere – ma non capire – come sarà la guerra moderna. In un futuro ormai cominciato, il ruolo delle armi tradizionali diventerà marginale e verrà sostituito dalle parole e dalle immagini. Ma non è detto che sarà meno drammatica.
Negli ultimi venti anni abbiamo assistito alla sistematica distruzione del concetto di informazione e alla progressiva sostituzione con il concetto – ormai divenuto dominante – di comunicazione. Non è cosa da poco e la portata di questa trasformazione è facilmente comprensibile analizzando il significato stesso delle due parole.
INFORMAZIONE vuol dire trovare notizie, analizzarle criticamente e trasmetterle nella maniera più chiara possibile ad una utenza la più ampia possibile che poi deciderà di utilizzarle come meglio crede. COMUNICAZIONE significa individuare le notizie più funzionali al centro di potere – sia esso politico, economico, scientifico, religioso, comunità o singolo individuo – ed offrirle nel modo più accattivante possibile ad una utenza la più ampia possibile in modo da influenzarla e portarla verso le convinzioni del comunicatore.
In questo contesto, non serve più – anzi, è dannoso – il professionista dell’informazione, cioè il giornalista, che deve essere emarginato e sostituito con il professionista della comunicazione. Operazione delicata, lunga ma perfettamente riuscita. Basti navigare su Internet o sbirciare i vari canali televisivi per rendersene conto. Tutto questo ha indotto i singoli cittadini a sentirsi autorizzati – anche a motivo dell’ego dominante nella società moderna – a diventare a loro volta comunicatori. In sintesi, il CARRO DI TESPI di antica memoria, sul quale personalità di altissimo livello giravano per la città coinvolgendo la gente in discussioni di alto profilo, ha lasciato il posto ad uno, cento, mille PIFFERAI MAGICI (palesi e nascosti influencer) capaci di portarci dove vogliono.
Morale: chiunque riuscirà a controllare la comunicazione vincerà la guerra.
A titolo di esempio, andiamo ad analizzare quanto è accaduto nel corso di questa drammatica ed inaspettata emergenza pandemica. Il Covid-19 ha messo in azione il meglio ed il peggio della comunicazione.
Lo smarrimento provocato nell’intera società dalla malattia e dalle sue drammatiche conseguenze (ospedali stracolmi, migliaia di morti, camion pieni di bare, economia al tappeto) e le possibili pericolose conseguenze anche di ordine pubblico, hanno spinto i centri di controllo ad intraprendere contromisure di natura comunicativa capaci di stemperare o almeno contrastare la negatività dominante.
Ecco dunque irrompere in ogni angolo del Paese il concetto per cui ANDRA’ TUTTO BENE. Perché il messaggio potesse avere effetto era necessario farlo diventare prerogativa di tutti. Una cintura che tutti dovevamo indossare e sentire propria. Un messaggio positivo che non ci viene imposto ma che parte da ognuno di noi e ci fa diventare orgogliosi protagonisti.
Ma non basta. In una società in cui non si fa nulla senza sostegno (dalle pensioni di invalidità al reddito di cittadinanza… fino al navigatore in auto… per non parlare dell’asfissiante protezionismo nei confronti dei figli) era necessario trovare delle figure tranquillizzanti. Morti da tempo l’Angelo custode e Superman, ecco apparire all’orizzonte il concetto di MEDICI EROI, e poi quello di INFERMIERI EROI e ancora di OPERATORI SANITARI EROI. Un concetto facile da veicolare perché, effettivamente, in questa guerra contro il Covid migliaia di medici, infermieri, operatori hanno combattuto sul fronte con eroismo, spesso anche a rischio della propria vita. E poco importa se questo sacrosanto concetto di eroismo è stato fatto proprio anche da chi la trincea l’ha vista solo in televisione.
A questo punto, una comunicazione positiva rischia di trasformarsi in un’arma impropria, dagli effetti devastanti. Diventa una clava con la quale imporre il proprio pensiero e stroncare quello degli altri. Irrompono sulla scena milioni di esperti che pretendono di esporre il proprio pensiero – spesso insulso – e farlo diventare virale. Per riuscirci è necessario ottenere visualizzazioni e condivisioni ed ecco allora che la gara a chi la spara più grossa diventa virale. Il dramma è che a questo gioco al massacro partecipano anche professionisti di chiara fama ben addestrati al fatto che per raccogliere proseliti è necessario lanciare esche accattivanti e diverse da quelle utilizzate dagli altri competitor. E pazienza se ciò provoca confusione; nella guerra della comunicazione, la confusione è un’arma potente ed essenziale. Se poi è accompagnata da una elevata batteria di fuoco… il gioco è fatto.
Prendiamo ad esempio la strategia messa in atto per salvaguardare il concetto di SANITA’ LOMBARDA LA MIGLIORE AL MONDO messo in dubbio dalla difficoltà di gestire la crisi in quella regione. Il meccanismo è stato semplice: dare visibilità agli operatori del Nord ed oscurare i colleghi del Sud. La sistematica occupazione di tutti i mezzi di comunicazione aveva questo obiettivo primario. La necessità di visibilità di molti nomi noti ha facilitato il compito.
Poi è arrivata la seconda ondata ed il virus, scopertosi democratico, ha invaso tutta l’Italia rimettendo le cose a posto.
In conclusione, la comunicazione ha avuto un ruolo essenziale in quella che è unanimemente riconosciuta come una delle peggiori crisi sanitarie e sociali di sempre. Gestire la comunicazione diventa essenziale. Dovere morale è contrastarne la degenerazione ed indirizzare la comunicazione lungo i binari della correttezza e della utilità sociale. Ma è ancora possibile?
Vediamo cosa è accaduto in questo mezzo secolo a cavallo del secondo millennio e come è cambiato il modo di fare informazione e comunicazione.
Per secoli, il canale privilegiato di informazione è stato il giornale (quotidiano, settimanale, mensile che sia). Uno strumento che costringe il gestore dell’informazione (giornalista, editore, eccetera) non solo a cercare la notizia ma anche ad approfondirla e a trasmetterla in maniera dettagliata. A sua volta, il lettore è quasi costretto ad assorbire una informazione vasta e non superficiale.
Il confronto con l’informazione televisiva ha spinto per anni i vari competitor a cercare di vincere la battaglia puntando su quantità e qualità.
Una svolta epocale è stata provocata dal diffondersi su tutto il territorio nazionale della tv commerciale e del proliferare delle emittenti locali che grazie alla capacità di diffondere notizie in tempi brevissimi ha mandato in tilt l’informazione cartacea.
Il colpo di grazia è poi arrivato con Internet che ha determinato una vera e propria rivoluzione nel fare comunicazione e informazione. Allargando a dismisura la platea dei soggetti abilitati a fare informazione ha scombussolato i ruoli e trasformato i cittadini in, contemporaneamente, potenziali fornitori e fruitori, in un processo di pericoloso egocentrismo. Una confusione di ruoli che porta inevitabilmente ad un crollo della qualità dell’informazione.
Un rischio chiaramente palesato da Umberto Eco secondo il quale – con il suo solito linguaggio forbito – internet ha dato parola anche agli sciocchi. Una generalizzazione – per intenderci – paragonabile alla legge americana che consente a tutti di detenere un’arma.
Di per sé l’accesso di massa ai mezzi di informazione non rappresenta un fatto negativo. Il problema è che la possibilità di degenerazione aumenta a dismisura. La proposta sempre più assillante di abolire ogni organismo di autocontrollo (gli ordini professionali) nel nome di un falso concetto di libertà rischia di dare il colpo di grazia ad un sistema certamente non perfetto ma comunque in grado di gestire le degenerazioni. Il tutto esasperando l’assurdo controsenso per cui alla sempre maggiore richiesta di correttezza si aggiunge una asfissiante pretesa di dare dignità solo alle notizie che fanno comodo.
Insomma, nella società della comunicazione stiamo uccidendo l’informazione. Stiamo tornando ai tempi bui dell’ignoranza in cui la filosofia dominante è: <io posso dire quello che voglio, tu non puoi dire quello che pensi>. Oppure, con le parole di Lorenzo il Magnifico nella Firenze di quasi mille anni fa, <ognuno è libero di pensar come vorria, ma chi pensa diverso da me ghigliottinato sia>.
Tornando all’attualità, nel momento in cui si è capito che con l’avvento di Internet il mondo stava cambiando, si è cercato di adattare le varie forme di comunicazione alla nuova realtà. Il classico giornale quotidiano ha esaurito il suo ruolo principale di fornitore di informazioni e deve perciò diventare strumento di approfondimento in modo da porsi come supporto alla massa comunicante e non come antagonista. Per riuscire nell’impresa deve aggiornare la sua mission e fornire un prodotto con meno notizie e più approfondimento. Ad un costo più elevato per un pubblico più esigente. Ma per riuscirci occorrono forti investimenti che non arrivano perché la pubblicità ha scelto la via più redditizia del web voltando le spalle ad un prodotto ritenuto ormai superato. Se a questo aggiungiamo il crollo delle vendite in edicola che nell’ultimo decennio hanno registrato un drammatico meno 80 per cento risulta evidente il perché del ridimensionamento di un settore destinato forse all’estinzione. Con conseguenze drammatiche per la società destinata a subire un bombardamento di informazioni in gran parte senza controllo.
A meno che non vengano emanate leggi che consentano la nascita di nuovi professionisti specializzati nella comunicazione via web. Insomma, l’informazione deve essere affidata a persone preparate e non a velleitari influenzer che con l’informazione e la cultura nulla hanno a che fare.
Un percorso possibile considerato il gran numero di persone – giovani soprattutto – che utilizzano il web con capacità inimmaginabili per la generazione passata. Non sfruttare questa enorme potenzialità – fornendo gli strumenti utili a prepararsi – sarebbe criminoso. Purtroppo, chi ha le risorse preferisce indirizzarle verso chi garantisce più visualizzazioni e le visualizzazioni si ottengono forzando l’informazione. Occorre fermare questa deriva.
In conclusione, l’informazione del futuro, lungi dall’essere strumento di democrazia rischia di diventare il primo meccanismo di controllo dell’opinione pubblica. Le prove di questa deriva sono già in corso come dimostrano le ultime campagne elettorali presidenziali negli Stati Uniti. Si spendono miliardi per acquistare i dati sensibili di milioni di utenti in modo da poterli raggiungere e bombardare con informazioni mirate.
Un nemico invisibile – come il Covid, più del Covid – si aggira nel mondo e colpisce senza che la vittima se ne renda conto. Le conseguenze le vedremo nei prossimi anni. Intanto occorre cominciare a preparare la Resistenza e l’unica arma a nostra disposizione è la Cultura, quella vera. Perché non basta scrivere un articolo per essere un vero giornalista, come non basta scrivere un libro e pubblicarlo a proprie spese per essere un vero scrittore. Occorrono studio, approfondimento, confronto leale, passione, correttezza, visione. Ma bisogna fare in fretta perché la guerra è in corso e rischiamo di perderla.