Quando arrivò a destinazione, Sebastiano Lombardi, detto Seba, era stanco e di pessimo umore. Parcheggiò l’auto presa a noleggio meno di un’ora prima all’aeroporto di Brindisi, recuperò il trolley dal bagagliaio, inserì l’allarme e, finalmente, si guardò intorno per capire in che razza di luogo lo avessero spedito stavolta. Era uscito dal suo appartamento di Milano alle cinque e mezza del pomeriggio per imbarcarsi a Malpensa e arrivare a destinazione alle undici meno un quarto.
“Ci vuole meno ad arrivare alle Canarie!”, pensò sbuffando.
Quando, una settimana prima, aveva ricevuto dall’ufficio la mail con i dettagli del nuovo incarico, si trovava ancora in Liguria per valutare la fattibilità dell’acquisto di una piccola azienda vinicola, con annessa cantina. Era di questo che si occupava: valutazioni immobiliari per una grossa impresa edile che rilevava a buon prezzo immobili in abbandono, dall’alto potenziale turistico, li ristrutturava per poi rivenderli a cifre astronomiche. Quando aveva cominciato a lavorare per loro, il suo raggio d’azione si limitava alla sola Lombardia, ma ben presto l’impresa era cresciuta, diventando una grande azienda che ora acquistava e rivendeva immobili in tutta Italia e, per farlo, si fidava solo del suo giudizio.
Era la prima volta che l’azienda lo mandava così a sud e, nonostante quella zona d’Italia stesse diventando di gran moda, lui non c’era mai stato. Fu così che, il 5 maggio del 2009, all’età di trentadue anni, con un lavoro di responsabilità, senza alcun legame amoroso, Seba Lombardi approdò a Galatone.
L’azienda gli aveva prenotato un B&b all’ingresso del centro storico anche se lui avrebbe di gran lunga preferito un hotel. In fondo gli serviva solo un punto d’appoggio comodo e pulito, senza fronzoli e, soprattutto, senza la necessità di relazionarsi con nessuno. Nei bed & breakfast c’era sempre un proprietario o una proprietaria che si sentiva in dovere di fare conversazione, che chiedeva quale fosse lo scopo del viaggio, che consigliava cosa vedere, dove andare o mangiare. Seba non era lì per quello. Voleva solo portare a termine il proprio compito, nel migliore dei modi, e passare oltre.
Appena era sceso dall’auto dove il climatizzatore aveva lavorato a pieno regime, Seba ebbe la sensazione di andare a sbattere contro un muro di caldo umido che gli appiccicò i vestiti addosso. “Cristo santo, qui ci lascio le penne” - disse in un bisbiglio. Aveva parcheggiato a poche decine di metri dalla sua destinazione. Camminò trascinando stancamente il trolley sul marciapiede di basolato lucido di umidità. In giro non c’era anima viva. Incrociò solo un bastardino che preferì cambiare lato della strada per poi abbaiargli contro senza convinzione prima di allontanarsi. Seba costeggiò diverse abitazioni dall’aspetto imponente e insieme trascurato. Edifici bassi e tozzi in cui la famosa pietra locale si alternava all’intonaco scrostato dal tempo e dall’incuria degli attuali proprietari. Mentre percorreva uno stretto marciapiede che lambiva la facciata di una grande casa a due piani dall’intonaco rosso pompeiano decisamente bisognoso di una rinfrescata, la sua attenzione fu catturata dall’imponenza del muro in carparo di un edificio che lo seguiva parallelamente dall’altro lato della strada. Quando arrivò all’incrocio, la via si aprì in una piazza e la curiosità di Seba lasciò il posto alla meraviglia. Voltato l’angolo, quell’alto muro diventò la facciata di una chiesa che, illuminata da una luna in grande spolvero, risplendeva quasi fosse d’oro vecchio. Ogni edificio della piazza, chiesa compresa, aveva davanti una struttura in legno bianco che ne ripercorreva il profilo e sul legno migliaia di lampadine colorate si inseguivano allegre. Alti pali sostenevano archi multicolori e pareti maestose ed insieme leggere e poi riccioli e iperboli che si intrecciavano fino a trasformare la piazza in un teatro in cui doveva esserci stata una grande festa finita da
poco. Le lampadine, infatti, erano spente e la piazza deserta. Seba non era pronto a tanta spiazzante e desolata bellezza e così fermò il passo al centro di quello spazio per riuscire a metabolizzarla, ma il tentativo fu bruscamente interrotto dallo squillo del suo telefono. Di malavoglia recuperò l’apparecchio dalla tasca dei calzoni e rispose.
- Pronto!
- Signor Lombardi? - chiese una voce di donna.
- Sì, chi parla?
- Sono Maria Manca, la proprietaria del B&b. Volevo sapere se ci fossero problemi, la aspettavamo per le dieci e mezza.
Seba controllò l’ora sul suo Casio in acciaio. Erano le ventitré passate.
- Sì, mi scusi, ci ho messo più del previsto ma credo di essere quasi arrivato.
- Non si preoccupi, non c’è fretta, volevo solo sincerarmi che andasse tutto bene e avvisarla che non ci sarò io ad aspettarla. Ho chiesto a mio padre di farlo al posto mio, ma domattina sarò lì per la colazione.
- Grazie, non si disturbi, posso farla al bar.
- Nessun disturbo e poi ci tengo, ho preparato una torta apposta per lei. A che ora pensa di alzarsi?
- Alle nove ho un appuntamento, quindi sarò pronto alle otto e un quarto.
- Va bene, ci vediamo domattina alle otto e un quarto.
- A domani.
Seba ripose il telefono, diede un’ultima occhiata alla piazza e imboccò via Convento, uno stretto budello che lo immerse nel centro storico di Galatone. Il B&b era a pochi passi. Si trattava di una casa a corte, una tipica costruzione di quel territorio. Ricordò di averle studiate all’università ma era la prima volta che ne vedeva una dal vivo. Una targa in ottone con su scritto “La CorteSia bed & breakfast” era affissa alla sinistra dell’arco che immetteva nello spazio chiuso e scoperto, la corte appunto, su cui si affacciavano tre porte. Per terra le chianche, lucide e sconnesse, facevano sobbalzare il trolley che produceva un terribile rumore. Sicuramente fu quello ad annunciare il suo arrivo perché la prima delle porte si aprì e ne uscì un uomo sulla sessantina che disse - Il signor Lombardi?
- Sì, sono io.
- Piacere, Antonio Manca. Ha fatto buon viaggio? - disse andandogli incontro con la mano tesa.
- Un po’ lungo, ma tutto bene, grazie. - rispose Seba stringendogliela.
- Meglio così. - poi, aggiunse - Mi segua, la accompagno nella sua stanza.
Aprì la porta accanto a quella da cui era uscito e lo precedette in quello che si rivelò essere un bellissimo mini appartamento, semplice e raffinato al tempo stesso. L’uomo chiese a Seba i documenti per la registrazione e gli consegnò le chiavi.
- Domattina mia figlia Maria glieli restituirà insieme alla colazione. - disse, poi gli augurò la buonanotte ed uscì.
Una volta rimasto solo, Seba sistemò la valigia aprendola su una panca nella camera da letto, fece un lunga doccia e si infilò nel letto senza chiamare o scrivere a nessuno perché nessuno attendeva sue notizie.
Alle otto e in quarto precise qualcuno bussò alla porta. Seba, ben riposato, sbarbato e vestito con un pantalone sportivo e una Ralph Lauren blu completamente abbottonata, aprì a Maria Manca. Il sorriso della donna era seminascosto dal vassoio apparecchiato per la colazione che teneva tra le mani, ma gli occhi no. Quelli erano ben visibili e bellissimi, nocciola screziato di infinite venature di giallo oro. Un vero incanto. Maria era una donna sulla trentina, con capelli lisci e castani tagliati appena sopra le spalle, ben fatta e con una bellissima pelle scura e dorata dal sole della primavera salentina. Seba balbettò un buongiorno, rimanendo imbambolato davanti alla porta. Lei allargò il suo sorriso - Buongiorno. - disse a sua volta poi sollevò di un niente il vassoio. Seba finalmente si riprese.
- Mi scusi, entri pure.
- Appoggio la colazione sul tavolo e vado via.
- Si figuri nessun problema.
- Questo lo metto sul tavolo, per il caffè, lì c’è la macchina, le capsule sono nel barattolo accanto.
- Grazie davvero.
- Se ha bisogno di altro non esiti a chiedere.
- In effetti, sa dirmi quanto dista da qui l’agenzia immobiliare del geometra De Mura? Alle nove ho appuntamento con lui.
- È vicinissima, praticamente alla fine di questa via. Il primo stabile alla sinistra delle torre con l’orologio. - rispose, poi aggiunse - Ha intenzione di acquistare casa qui da noi?
- No, devo fare la valutazione immobiliare di una proprietà per conto dell’azienda per cui lavoro.
- Bene, allora buona valutazione. - disse lei facendogli l’occhiolino e andò via lasciando il suo ospite innegabilmente ammaliato.
Venti minuti dopo Seba Lombardi mise in spalla uno zainetto ed uscì. Percorse via Convento e poco dopo arrivò in piazza Costadura. Qui la luce divenne accecante. Il sole splendeva alto e spavaldo riverberando la sua potenza sulle chianche del basolato e sull’intonaco bianco delle costruzioni che facevano da sfondo. Raggiunta la torre campanaria che, nonostante non fosse altissima, dominava la piazza stagliandosi contro un cielo terso di un azzurro commovente, Seba fu costretto a fermarsi e a far spaziare lo sguardo per ammirare quello spettacolo. Anche qui, gli edifici erano preceduti dalle luminarie che aveva notato la sera prima. Una squadra di operai, muniti di alte scale in legno, lavorava per rimuoverle. Centinaia di tiranti partivano dalle strutture in legno per sostenerle, formando una ragnatela di fili di metallo che gli uomini tagliavano e recuperavano con cura. Altri si occupavano di smantellare una meravigliosa cassa armonica, una struttura in legno, alta quasi dieci metri, a pianta circolare, circondata da alti archi sormontati da una cupola, con migliaia di lampadine bianche e blu che ne seguivano i
profili. Mentre li osservava rapito, il suo telefono cominciò a squillare. Ridestandosi, lo estrasse dalla tasca. Stava per rispondere quando udì qualcuno urlare - Architetto Lombardi, è lei?
Si voltò verso quella voce e vide un uomo, sui quaranta, sorridergli agitando in mano un telefonino?
- La stavo chiamando, ma ho sentito squillare il suo telefono a pochi metri da me. - aggiunse raggiungendolo e porgendogli la mano - Piacere, Giuseppe De Mura.
- Seba Lombardi.
- Le posso offrire un caffè? - disse indicando l’ingresso un bar che si trovava proprio accanto alla torre.
- Con piacere, ma permetta che glielo offra io.
- Non se ne parla nemmeno, lei è ospite.
Entrarono nella caffetteria. Il geometra salutò il barista e ordinò i caffè.
- Allora architetto, è la prima volta che viene a Galatone?
- In realtà è la prima volta che vengo nel Salento.
- Meglio così! Vedrà ogni cosa con occhi nuovi, peccato che sia arrivato solo oggi. Questo fine settimana c’è stata la festa del Santissimo Crocifisso, un evento importantissimo per noi Galatonesi. Se fosse arrivato sabato avrebbe unito l’utile al dilettevole.
- Guardi, il fine settimana è l’unico momento in cui posso stare un po’ a casa.
- Capisco, ma non sa cosa si è perso!
Cinque minuti dopo erano seduti nella Smart del geometra che, durante il tragitto, si dispose in modalità guida turistica.
- Come vede tutta Galatone si è fatta bella per la festa ma questo non è niente, dovrebbe vedere “Lu carru ti Sant’Elina”.
- Cosa?
- Vuol dire Il carro di Santa Elena, è un corteo storico religioso che si svolge ogni quattro anni durante questi giorni di festa. Coinvolge più di quattrocento figuranti vestiti da soldati e, tra loro, c’è il carro di Santa Elena interpretata da una ragazza del paese che, insieme ad altre giovani, siede su un grande carro trainato da quattro cavalli e tutti insieme portano la Croce per le vie di Galatone. L’ultimo corteo c’è stato un anno fa e per la serata finale è venuto a cantare Al Bano che da queste parti è come dire Bruce Springsteen.
Seba rise di gusto, questo De mura cominciava a stargli simpatico.
- E quest’anno chi era la star?
- Michele Zarrillo, ha cantato l’altro ieri, è stato un bellissimo concerto.
- Immagino! - commentò ironico Seba che ascoltava solo musica rock - anche se, diciamolo, Al Bano non si batte.
- Amen. - confermò De Mura e i due scoppiarono a ridere quasi all’unisono.
Stavano ancora ridendo quando la Smart imboccò una stretta stradina sterrata, costeggiata da alti muretti a secco, che terminava con un cancello di ferro arrugginito. Più l’auto procedeva, più si innalzava, oltre il cancello, la sagoma di un maestoso edificio fortificato. Solo quando la Smart si fermò, Seba si accorse di aver trattenuto il fiato. Fu De Mura a rompere quel silenzio quasi irreale.
- Benvenuto al Castello di Fulcignano. - disse, poi aprì lo sportello e smontò dall’auto.
Seba tirò fuori una reflex digitale dallo zaino, un taccuino e scese a sua volta, senza riuscire a staccare gli occhi da quelle mura e dalle torri angolari. Ogni singola pietra trasudava secoli di storia con la S maiuscola.
- Geometra De Mura…
- Architetto, la prego, siamo quasi coetanei, mi chiami Giuseppe, lo preferisco. - lo interruppe con un sorriso amichevole
- Con piacere, allora lei mi chiami Seba e se preferisce possiamo darci del tu.
- Oh, magnifico!
- Allora Giuseppe, possibile che questo castello sia privato e in vendita su internet? - chiese incredulo.
- Difficile da credere ma è così ed io ho il privilegio di occuparmi dell’operazione.
- Nemmeno fosse una villetta a schiera o un bilocale in centro. - aggiunse Seba sempre più sconcertato.
L’altro preferì non cogliere ed aprì il lucchetto e tolse la pesante catena che teneva chiuso il cancello.
Quella visita era solo un primo e importante sopralluogo della struttura. Serviva per comprendere a prima vista se ci fossero i presupposti per approfondire la valutazione di fattibilità, solo in quel caso partivano i rilievi necessari per redigere una perizia. Cominciarono a camminare verso sinistra costeggiando le mura esterne del castello. Seba non smetteva di scattare foto e di prendere appunti sul taccuino.
- Di che epoca è? - chiese.
- Non c’è un datazione certa ma si pensa risalga alla seconda metà del dodicesimo secolo.
- Incredibile!
Guardando dal basso verso l’alto le mura, alte circa dieci metri, il castello appariva ancor più maestoso. I lati erano irregolari, quello d’ingresso doveva superare i settanta metri, torri comprese, mentre quello più corto raggiungeva i cinquanta.
- Come tutti i castelli, anche questo ha la sua leggenda che ha a che fare con un tesoro e con un fantasma. - disse De Mura rompendo il silenzio.
Seba non commentò continuando a camminare. L’altro prese questo atteggiamento come un muto invito a raccontare.
- Tutto ebbe inizio con un lungo assedio che il castello stava subendo. Gli aggressori, non si sa bene come, riuscirono a rapire il figlioletto del feudatario del tempo. Il ragazzo fece una pessima fine: venne squartato e le sue membra vennero appese ad un albero affinché i resti fossero visibili dall’interno del castello.
Seba fermò il passo rivolgendo lo sguardo al suo accompagnatore che, ancora una volta, si stava dimostrando un narratore irresistibile.
- Quando la madre vide quello che avevano fatto al corpo del figlio, impazzì di dolore. In preda alla disperazione, la donna invocò il diavolo e con lui strinse un patto: chi voleva impadronirsi del tesoro del castello avrebbe dovuto portare un bimbo in dono a Satana. Approfittando del tempo necessario al demonio per divorare il bambino, costui avrebbe potuto provare a trafugare il tesoro.
- Santo cielo!
- Ma non finisce qui. Si narra che un uomo provò a truffare il diavolo camuffando da bambino un gatto solo che questo si mise a miagolare. Il diavolo si accorse dell’imbroglio e scatenò una tremenda tempesta per poco non uccise il furbacchione. Da allora nessuno provò più a cercare il tesoro del castello che, secondo la leggenda è ancora qui protetto dal diavolo. Si dice che certe notti si possono sentire ancora le grida della povera donna a cui rapirono e squartarono il figlioletto.
- Perfetto, stanotte non chiuderò occhio. - disse Seba mentre terminavano il giro dell’esterno delle mura.
Entrarono finalmente all’interno del castello. Nel primo vano, lungo il lato destro, c’era un sedile in muratura e un grande camino, il resto era vuoto e in pessimo stato. Da lì si accedeva ad altri due vani con volte a botte che versavano in condizioni di degrado ancora peggiore. Scritte in vernice e a penna insozzavano ogni muro. Il terzo locale era addirittura privo di pavimentazione. Al suo interno si riconoscevano i resti un altro camino ormai distrutto. Da un’apertura con arco a sesto acuto De Mura guidò Seba fino ad una scala circolare.
- Questa conduceva sulla torre ma è troppo compromessa per essere usata. Però possiamo salire sul tetto dei locali usando quest’altra. - disse indicando una seconda scala che si trovava più a destra.
Dal terrazzo era possibile ammirare l’interno del complesso fortificato e il profilo di Galatone che appariva incredibilmente vicina. Il verde della campagna intorno era tanto inteso da sembrare irreale, una sorta di enorme trapunta in cui i muri a secco fungevano da cuciture tra un campo e l’altro.
- Allora, che te ne pare? - chiese De Mura guardandosi intorno come se quella bellezza fosse merito suo.
- È oggettivamente meraviglioso e insieme scandaloso, ma non sono qui per giudicare.
- Credi che l’affare possa interessare la tua azienda?
- Sarò sincero, non lo so proprio.
- Hai qualche dubbio?
- Moltissimi.
- Ah!
- Ma non escludo nulla. Ho bisogno di riordinare le idee, rileggere gli appunti, riguardare le foto e confrontarmi con i miei capi. - si affrettò a puntualizzare Seba poi.
Mentre tornavano in paese, il telefono di Seba notificò l’arrivo di un messaggio. Lui lo aprì.
“Sono Maria Manca, se ha finito con il suo appuntamento, mi permetta di offrirle un aperitivo veloce al Bar degli Amici.”
Leggendo gli scappò un sorriso, poi scrisse: “Con piacere, potrei essere lì tra dieci minuti”.
“A tra poco.” rispose prontamente Maria.
- Buone notizie? - chiese De Mura a cui non era sfuggito il sorriso di Seba.
- Simpatiche.
- Se il mio intuito non mente si tratta di una donna.
- Solo un aperitivo con un’amica… anzi nemmeno, l’ho conosciuta stamattina.
- Ah, quindi è una salentina!
- Già.
- Ahia! - esclamò De Mura - Stai attento, le salentine sono pericolose.
- Te l’ho detto, è solo un aperitivo.
- Se lo dici tu. - commentò ironico il geometra.
Quando arrivarono al bar, Maria lo attendeva accanto alla torre.
- Ehi Giuseppe, come stai? - disse lei all’indirizzo di De Mura.
- Ciao Maria, bene grazie, tu sempre bellissima.
Lei glissò sul complimento e disse - Allora era con te che aveva appuntamento il nostro architetto?
- Esatto, ma adesso è tutto tuo. - rispose lui poi, rivolgendosi a Seba, disse - Spero che tu abbia trovato interessante il nostro giro. Attendo buone notizie in merito, intanto ti lascio in ottime mani.
- Grazie di tutto. Ti farò sapere entro questa sera.
Rimasti soli, Maria e Seba si accomodarono a uno dei quattro tavolini in plastica disposti lungo la facciata del bar.
- Mi spiace, il posto non è molto glamour ma è in centro e poi è vicino casa? - disse Maria.
- Se lo ha scelto lei va benissimo e poi questa piazzetta è davvero magica.
- Che ne dice di assaggiare l’aperitivo locale e, magari, di darci del tu?
- Sono d’accordo.
- Per il tu o per l’aperitivo?
- Per entrambi direi e, solo per curiosità, in cosa consiste quest’ultimo?
- Di solito in una tre quarti divisa, olive, tarallini, friselline al pomodoro e un rustico tagliato.
- Non so cosa sia la metà delle cose che hai nominato, ma mi fido.
- La tre quarti è una bottiglia di birra grande.
- Da tre quarti di litro?
- Credo di sì.
- Ok, e il rustico?
- Quello facciamo prima a mangiarlo che a spiegartelo, sappi che è un autentica istituzione locale.
Venti minuti dopo avevano vuotato la bottiglia di birra e Seba non smetteva di fare i complimenti alla bontà del rustico.
- Piaciuto, eh? - chiese Maria.
- Molto, però un appunto devo farvelo.
- Ecco, figurati se il milanese non doveva puntualizzare.
- Spiritosa, comunque a puntualizzare non è il milanese ma l’architetto che si occupa di misurazioni, perizie e valutazioni.
- Va bene, sentiamo questa valutazione professionale.
- È tutto ottimo, ma perché chiamate la chiamate tre quarti quando invece è da 66cl., tre quarti di litro sarebbero 75, qualcuno potrebbe accusarvi di truffare il consumatore.
Maria restò pensierosa per qualche secondo poi disse - Hai ragione! Quindi, per ogni tre quarti presa nella mia vita, avanzo nove centilitri di birra? Se riesco a farmi rimborsare posso bere gratis per un anno!
Seba e Maria scoppiarono a ridere, poi ordinarono allegri un’altra tre quarti.
Fu allora che Maria, a bruciapelo, disse - Allora, qual è lo scopo del tuo viaggio?
- Te l’ho detto, mi occupo di perizie e valutazioni immobiliari per un’azienda di Milano.
- E cosa hai periziato?
- È una transazione riservata, sappi solo che è un posto incredibile.
- Insomma, è il Castello di Fulcignano. - disse lei seria.
Lui restò senza parole.
- Caro architetto, non ci sono molti “posti incredibili” in vendita da queste parti e tutti sanno che del castello se ne sta occupando l’agenzia di Giuseppe.
Seba sospirò, sorrise e mandò giù un altro sorso di birra.
- Allora, che te ne è parso? - continuò Maria.
- Sinceramente non lo so, posso solo dirti che sono confuso. Ho valutato grandi ville in abbandono, alcune anche storiche, ex fattorie, antiche fabbriche più simili ad enormi officine, cantine, un sanatorio dismesso, una collegio in disuso, un convento e, persino, una chiesa sconsacrata, ma è la prima volta che mi occupo di un autentico castello, con tanto di torri e feritoie per gli arcieri.
- Hai ragione è una cosa incredibile, come è incredibile che quel luogo venga venduto su internet come se si trattasse di una casa al mare o un monolocale.
- È quel che ho pensato anch’io.
- A Galatone c’è tanta gente che pensa che Fulcignano debba appartenere ai galatonesi.
- E perché non lo acquista il comune?
- Ci stiamo battendo per riuscirci.
- Ho capito, quindi io sarei il cattivo venuto dal nord per fare gli interessi dei soliti capitalisti senza anima o scrupoli.
Maria abbassa lo sguardo sul suo bicchiere.
- Non è vero, non lo credo affatto. Fino ad ora non ce lo siamo meritato e se il castello andrà in altre mani sarà stata solo colpa nostra. Hai visto in che condizioni è, no? Semidistrutto, vandalizzato e abbandonato.
- Sì, è un vero peccato!
- In altri paesi lo avrebbero valorizzato per bene, avrebbe dato lavoro a tanti ragazzi e creato un notevole indotto. Qui invece la gente è stata sempre abituata a dormire sugli allori, tanto c’è il mare meraviglioso, il clima favorevole, la buona cucina…
- Il rustico, la tre quarti... - aggiunse Seba sorridendo.
- Esatto, solo che da qualche anno a questa parte sembra che ci sia una sorta di risveglio, ci siamo resi conto delle potenzialità sprecate, abbiamo creato comitati, ci stiamo battendo, ma…
- Ma se la mia valutazione sarà positiva...
- … per Galatone sarà troppo tardi.
Lo sguardo dell’architetto Lombardi si fece impenetrabile. Lo distolse dagli occhi di Maria e lo rivolse alla piazza, alla grande cassa armonica che, pezzo dopo pezzo veniva smontata insieme a tutto il resto per riportare Galatone alla sua normalità.
- È per questo che mi hai invitato a prendere l’aperitivo, vero? - disse infine - Avevi già capito il motivo della mia visita.
- Sì! - ammise lei - Ti chiedo scusa, volevo solo capire con chi avevamo a che fare.
- E ora, con chi credi di avere a che fare?
- Un uomo corretto che farà il suo lavoro fino in fondo, in maniera imparziale e professionale.
- Esatto. - disse lui serio, poi aggiunse - Per vostra fortuna non credo che l’immobile possa interessare alla mia azienda e di sicuro non vogliamo impelagarci in un cantiere blindato con picchetti di gente che protesta, quindi puoi dire ai tuoi amici di stare tranquilli, per ora. Ma non andrà sempre così, prima o poi arriverà qualcuno con interessi e parametri diversi dai nostri. Vi suggerisco di non perdere altro tempo.
- Non lo faremo. - disse Maria mentre gli occhi le si inumidivano diventando ancora più brillanti.
Lui la guardò sempre più ammaliato.
- So che dovrei essere offeso per il tuo raggiro, ma sono felice di essere qui con te.
Lei sorrise e disse - Anch’io.
- Bene, allora non è che conosceresti un altro posticino simile a questo, magari davanti al mare dove passare dall’aperitivo al pranzo?
- Per simile a questo intendi spartano ma buono?
- Esatto.
Maria lo guardò con una strana luce nello sguardo e chiese - Hai mai mangiato i ricci?
- No, mai.
- Allora conosco il posto che fa per noi.
Il ristorante era sugli scogli del litorale ionico. Il pranzo fu magico. Da lì ci fu un amaro a Santa Maria al Bagno, poi una passeggiata fino a Santa Caterina e un lungo primo bacio sulla Torre dall’Alto, davanti alla baia di Porto Selvaggio. L’architetto Sebastiano Lombardi o, come preferiva lui, Seba, non ebbe scampo e si innamorò perdutamente, di quei luoghi, di quei colori, di quegli scogli, di quel mare. E non solo.
6 maggio 2009, ore 18.10: Seba chiama in azienda, comunica al suo capo il proprio parere negativo sull’acquisto del castello e prende qualche giorno di permesso rientrando al lavoro il lunedì successivo.
6 maggio 2009, ore 18.23: Seba telefona al geometra De Mura per comunicargli la propria decisione. Lo ringrazia per la bellissima visita e le fantastiche storie.
01 agosto 2011: il Comune di Galatone, pressato dalle proteste dei suoi cittadini, acquista il Castello di Fulcignano. 04 settembre 2011: nasce Francesco, primogenito di Maria e Seba. A giugno dell’anno prima lui si era definitivamente trasferito a Galatone continuando a lavorare per la stessa azienda milanese. 2020: il Castello di Fulcignano aspetta ancora di essere valorizzato come merita.
FINE