Un malinconico ritorno tra le mura di casa e i ricordi di un’infanzia che si sciolgono nella mente, scorrendo davanti agli occhi come fotogrammi un film in bianco e nero. Su e giù nel tempo, avanti e indietro nella vita, dentro e fuori i ricordi con «Profumo di tabacco», il libro di Maria Francesca Giordano edito per i tipi di Esperidi dove Antonio, il protagonista, diventa per il lettore «guida» in un vero e proprio viaggio nella memoria nel giardino della sua casa natale. Vi è giunto in gran fretta, dopo il lungo viaggio da nord a sud, per poter salutare l’anziana madre in fin di vita. Il dolore per l’imminente distacco (oppure il dolore del presente) diviene motivo e pretesto, per impilare, come libri sgualciti ma ancora buoni da leggere, ricordi e fatti del passato, quelli che hanno reso il protagonista l’uomo che è in quell’«oggi» quasi sospeso. Nel volo narrativo radente e veloce, Antonio ricompone volti, voci e luoghi, ma, soprattutto, recupera dogmi ed esperienze utili per il cammino che lo attende. Il profumo della coltivazione salentina per eccellenza lo si può «avvertire» già dalla copertina, una giovane donna del Sud intenta a infilare «nzerte» con le foglie di quelle pianta che è stata pane per tantissime famiglie. Antonio attende in giardino che il corpo della madre venga composto per poi «consegnarsi» alla visita di amici e vicini, e nel frattempo ripercorre gli anni della sua vita in quel paese del Salento, riavverte il profumo aspro del tabacco e la fatica che la sua coltivazione e la raccolta comportava, il suo desiderio di lasciare quella terra amara, fatta di sudore, sacrifici e pregiudizi. In uno scorrere di capitoli a cui l’autrice assegna un titolo, quasi a sottolineare ogni tappa della vita del protagonista, Antonio rivede l’immagine del padre, dalla pelle arsa dal sole, la schiena piegata dal lavoro e le dita ingiallite dal fumo. Un uomo dal carattere ripugnante, una figura che racchiude in sé l’immagine di un mondo maschile avvezzo al comando in famiglia, speculare a quella del nonno Oronzo, buono e sapiente come tutti i nonni. I ricordi di Antonio portano il lettore attraverso i riti scaramantici del Sud, quelle pseudo funzioni sospese a metà tra la fede popolare e il sacrificio pagano, intercalando figure buffe e situazioni comiche che condiscono di gustosi particolari la narrazione. E poi un finale quasi «magico», ultimo saluto per Antonio, che chiude anche la sequela di memorie di un mondo fatto di dolore e sacrificio ma che mantiene saldo il suo fascino antico.