E se patologie come il diabete di tipo 1, l’Alzheimer, la neoplasia, la schizofrenia, la fibrosi polmonare, la depressione, la cardiomiopatia si potessero raccontare attraverso le emozioni? È un altro punto di vista, un modo «alternativo» di parlare di malesseri che, in modi differenti, hanno reso «diversa», momentaneamente o permanentemente, la vita dei protagonisti o dei loro affetti. È la malattia «narrata» da Antonio Romano nel suo libro «Vite di c’era. L’invisibile nell’impercettibile», fresco di stampa per i tipi di Musicaos Editore. Un libro che, come dice lo stesso autore in premessa, «si propone di dare voce a chi voce non ha. Persone umili e semplici. Storie come tante altre, ricche di forza e sacrifici. Esistenze in cui ognuno di noi si riconosce identificando qualcuno che ha incontrato, conosciuto, amato, vissuto». Ha sfumature e richiami manzoniani dunque il libro di Romano, in cui giungono echi di «quel volgo disperso che nome non ha», di umili e di «provvida sventura». Questo libro, con una sensibilità coinvolgente, aiuta a meditare sulle dinamiche sociali e sull’intramontabilità delle vicissitudini umane. Sei racconti realistici che, avvalendosi costantemente della polisensorialità di immagini e suoni, presentano sentimenti forti, crudi, rendendo il lettore protagonista di una realtà che appartiene indistintamente a tutti noi. Le storie che l’autore ha raccolto sono frutto di un percorso professionale e di vita, con le reazioni, le riflessioni, i sogni, i desideri, i ricordi, le speranze e tutto ciò che comporta convivere con la cronicità di una patologia, per valutare nuove prospettive, lasciare un’impronta. Nepente, l’infermiere che racconta le vicende dei saggi narrativi, instaura un rapporto unico ed irripetibile con l’assistito, col fine di ricercare una collaborazione nella strategia terapeutica, finché un colpo di scena, durante la narrazione, lo assorbirà nella sua stessa trama. Da regista diventerà attore, trovando la propria vita completamente stravolta e trasformandosi, col suo nuovo percorso da tracciare, nel sesto personaggio. Questa esperienza inattesa cambierà il suo modo di scrivere, interpretare e pensare. Nepente si ritroverà ad esplorare un orizzonte inedito che, fino a poco tempo prima, pensava lontano da lui e dalla maggior parte di tutti noi. Lo schema di riferimento e di partenza adottato per la costruzione delle descrizioni è basato su un approccio metodologico denominato Nursing Narrativo, in cui non ci si trova dinanzi alla classica impostazione e ai particolari strutturali del saggio poiché l’articolazione delle narrazioni proviene direttamente da ciò che emerge dai soggetti. Antonio Romano, classe1983, è laureato in Educazione Socio-Ambientale all’Università del Salento e in Infermieristica all’Università degli Studi di Siena. Attualmente lavora come infermiere presso l’Ospedale di Casarano - Endocrinologia e Diabetologia. Nel marzo del 2019 gli viene diagnosticato il Diabete di Tipo 1.
La malattia «narrata» da Romano in «Vite di c’era»
- Giuseppe Pascali
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