Il carnevale è trascorso, il capo di ceneri ce lo siamo cosparso: siamo pronti al sacrificio e a mondarci del peccato nel periodo che precede la resurrezione.

L’ipocrisia alimentare è inscindibile dalla specie umana, specialmente nell’unica regione del pianeta che non ha mai conosciuto forme di carestia. Qui, nella terra in mezzo ai mari che si trovano in mezzo alle terre, Mediterraneo lui, mediterrònei noi, anche il più povero dei piatti diventa leccornia, momento di piacere, ragione di narrazione.

Nei mesi più freddi dell’anno, quando tutto sembra scarso, le donne messapiche trovarono nelle erbe la fonte della salute e della sazietà di intere famiglie.

Ci hanno provato gli usi moderni a cancellare queste storie, ma migliaia di anni non possono essere affogati nell’orgia di piatti che possono stupire un giorno ma che saranno dimenticati il giorno successivo.

Ed eccoci nella abbondanza di “paparine” che crescono spontaneamente in ogni terreno, sia esso a gerbido che coltivato a frumento. La “paparina” non è altro che il papavero rosso nella fase giovanile. Alimento straordinario anche se dal sapore delicatissimo. E dunque si raccoglie insieme “lu lapazzu”, in italiano Lapazio o Rumex Acetosa. E la minestra di “paparine cu lu lapazzu” si fa piatto denso di sapore antico, di amore per chi si side intorno al focolare e soddisfa lo stomaco ed il palato, magari accompagnando un piatto di legumi.

Ci vogliono molte “foglie minute” per preparare le paparine, almeno un chilo, che vanno lavate benissimo e dopo averle lavate si pongono in un “tiesto” nel quale si son fatti rosolare un paio di spicchi di aglio e, a mio parere, anche un peperoncino. Poi si aggiungono le verdure ben scolate e, a fiamma bassa, si lasciano cuocere lentamente per almeno mezz’ora (dipende dalla quantità e dalla fiamma). Se avete fatto buon uso del fuoco non ci sarà bisogno di aggiungere acqua, altrimenti occorrerà dosarne qualche mezzo bicchiere.

Quando la verdura è cotta si aggiungano delle olive nere (celline) e si lasci ancora cuocere per una quindicina di minuti. Regolare di sale solo a cottura ultimata. Che le olive, con la loro salamoia, son sapide di per sé.

E se non ho lapazzu? Provare a sostituire l’acetosa con le foglie di finocchio, quelle sottili che di solito buttate. Poi mi fate sapere.

Con la paparina ci va un vino nero e di gran corpo.

 

 

 (NdR. Per chi fosse interessato ad essere recensito dal nostro Pino De Luca ed entrare a far parte della nostra rubrica "Dove Mangiare" , può chiedere informazioni alla redazione al seguente indirizzo mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. )