La cucina popolare, in Salento, come in tutta Italia, ha sempre vissuto di materie prime “povere o di scarto”.

Fra queste vanno annoverate senza dubbio alcuno le parti animali denominate “quinto quarto”. Ovvero le parti giudicate un tempo “meno nobili”. Si ricordi la tipica salentinità della “matriata”, un tempo il più negletto delle parti del giovane bovino ed oggi ricercatissimo ed introvabile meraviglia della cucina di altissimo rango.

Ecco, fra le “frattaglie” non ha ancora ritrovato la giusta valorizzazione la parte più straordinaria: le cervella.

Se esse pervengono fruibili ai “mangiatori di teste” del pesce pelagico, se appartengono di diritto ai cultori della testina di giovane ovino (la capuzza), le cervella di bovino sono ormai rare e, sostanzialmente introvabili.

Ovvio che il vento del “rispetto estremista” e l’incedere della cultura vegana pone limiti alla diffusione di queste parti alimentari che possono essere dispensatrici di grandi soddisfazioni gastronomiche oltre che di sostanze alimentari di enorme valore. Al netto della fobia verso il morbo Creutzfeldt-Jakob

Ed oggi proprio delle cervella vorrei raccontare. In ricordo di una “cervellata” magistrale che una carissima amica mi fece l’onore di provare. Fu un pranzo da ascrivere alle esperienze indimenticabili.

Preparare le cervella fritte è cosa semplicissima al netto di due cose che sono senza dubbio complesse.

1 – trovare le cervella, e questo si può fare solo rivolgendosi al proprio macellaio di fiducia augurandosi che sia competente e disponibile a scegliere animali sani e certificati.

2 – pulire le cervella, e questo è cosa che richiede grande pazienza, la conoscenza di un paio di accorgimenti e delle pinzette molto ben affilate.

Cominciamo con due accorgimenti:

Le cervella vanno lavate con abbondante acqua corrente, il getto del rubinetto deve essere delicato altrimenti le cervella potrebbero frantumarsi. Poi vanno immerse per un minuto in abbondante acqua bollente e salata, questo aiuterà a privarle della pellicina che le avvolge e, munitisi di apposita pinzetta, vanno asportati i capillari sanguigni che le attraversano. Non è faticoso ma occorre tanta pazienza.

Quando sono ben pulite, un ultimo risciacquo e poi scolarle molto bene e farle asciugare (la farina aiuta). Adesso è tutto semplice: tagliare le cervella a pezzi grossolani (il coltello deve essere affilatissimo altrimenti strappa) e ripassarli nell’uovo sbattuto, poi nel pane grattugiato e quindi friggerli in olio EVO ben caldo. So bene che il burro è più milanese e l’olio di semi di arachidi è più economico. Ma qui siamo in Salento e la differenza è proprio l’olio. Magari un Olio Vergine (voluto), a trovarlo, invece dell’extra Vergine, ma sempre di Olive deve essere.

Quando il colore vi fa comprendere il valore della miniera aurifera che avete scavato, ponete le piccole frittelle sulla carta assorbente e quando saranno asciutte sul piatto di portata, accompagnate con fette di limone e un ciuffo di prezzemolo e portata e tavola. Caldo ma non bollente. Se accompagnate con dei carciofi o dei lampascioni (ovviamente sempre fritti) salite sull’olimpo. Che l’umanità non è che un incrocio di fritture!

N.B.

La panatura potete aromatizzarla a piacere. Per evitare sfracelli usate la massima delicatezza nel maneggiare la materia prima.

 

 (NdR. Per chi fosse interessato ad essere recensito dal nostro Pino De Luca ed entrare a far parte della nostra rubrica "Dove Mangiare" , può chiedere informazioni alla redazione al seguente indirizzo mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. )