Sessant’anni più tardi, il mitologico ragno si aggira ancora nella demartiniana «terra del rimorso». Certo, sono cambiati i territori in cui abita, cambiati gli scenari delle sue misteriose aggressioni, insieme al paesaggio salentino trasformato da xylella, roghi, costruzioni abusive e mega impianti. Dalla campagna, il ragno si trasferisce in città, seguendo nuove inquietudini e malinconie. Sul «tragitto» del ragno si inserisce Io alla taranta ci credo, il romanzo di Milena Magnani edito da Kurumuny Edizioni. È un racconto corale quello che prone la sceneggiatrice e drammaturga bolognese, una tela che intreccia le vite di personaggi diversi, molti dei quali realmente esistenti. Una personale geografia affettiva tratteggiata dall’autrice, da decenni legata al Salento, a cui ha dedicato una parte importante del suo lavoro e un impegno diretto per la tutela del territorio con l’«Orto dei Tu’rat», progetto di contrasto alla desertificazione del territorio più volte oggetto di incendi dolosi. Un tributo alla terra elettiva, alla patria per vocazione. La voce narrante accompagna a esplorare, conoscere e ri-conoscere il Salento e le sue contraddizioni: la bellezza densa di storie dell’Orto dei Tu’rat e la cieca ferocia di chi lo dà alle fiamme, il rapporto con un presente in rapidissimo cambiamento, di cui sfuggono i contorni e le prospettive, lasciando solo domande aperte (eloquenti in tal senso i titoli dei capitoli che compongono il libro: «Perché Eliseo dice – Ci mme cunti? / che cosa unisce le bacchettate di un maestro al condono edilizio / e come si colora il mare quando smette di sbarcare saraceni» ecc.). Al centro della tela Donata, una giovane donna inquieta alla ricerca di se stessa, la cui modernità deve fare i conti con una storia ancestrale. Sarà proprio l’appartenenza al territorio e alla sua cultura la chiave di volta del malessere, di quella malesciana che Donata non sa dire. Nel secolo ventunesimo, la cura proposta alla paziente non può più essere quella del rituale storico classico, che faceva ballare tarantate e tarantati al ritmo del tamburello inseguendo a ritroso i passi del ragno. Gli psicofarmaci hanno sostituito la terapia domiciliare e corale, perfezionando gli equilibri biochimici: e tuttavia, il vuoto dell’isolamento e dell’incomprensione, come e più di prima, resta. L’attraversamento di un disagio personale diventa così un lento lasciarsi andare nel profondo di uno spazio culturale, storico, esistenziale oltre che geografico, tra incontri reali e incontri solo immaginati, sentiti o presagiti, in cui risuona lo stile del realismo magico sudamericano. È la maestria dell’autrice che tesse i fili e ne fa un racconto avvincente dalle sfumature noir, un tributo d’amore che a tratti cede alla rabbia e alla nostalgia, così come richiama il titolo, decisamente provocatorio. Da leggere tutto d’un fiato fino all’ultima pagina. Milena Magnani (Bologna 1964) ha esordito con il romanzo L’albero senza radici (1993) a cui hanno fatto seguito Delle volte il vento (1996) e Il circo capovolto (2008), entrambi ripubblicati da Kurumuny. Per anni è stata tra i redattori della rivista di letteratura sociale «Nuova Rivista Letteraria» fondata da Stefano Tassinari. Per Kurumuny è ideatrice e fondatrice di Rosada, una collana di poesia contemporanea, nata dal suo impegno nel progetto ambientale Orto dei Tu’rat.