Un omaggio a tutti gli artisti nomadi, funamboli, saltimbanchi, musicisti viaggianti che sono scomparsi ad Auschwitz Birkenau, e in tanti altri campi di concentramento. Nasce con queste intenzioni il romanzo Il circo capovolto di Milena Magnani edito da Kurumuny, un tributo che in particolare vuol raggiungere tutti quei bambini che ancora oggi sono costretti a vivere nei campi sosta, in mezzo agli scarti della globalizzazione. È la storia di Branko, poeta e sognatore e di un gruppo di bambini rom, proprio quelli che secondo la Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia dovrebbero essere soggetti di diritto e oggetto della nostra più scrupolosa tutela, e invece continuano a essere esclusi dalle dinamiche della socializzazione, vittime di una cultura dominante che li relega ai margini, fuori da ogni possibile rivendicazione di cittadinanza. A trent’anni da tale Convenzione si può riconoscere che molto si è fatto per sensibilizzare la collettività a una maggiore attenzione per l’infanzia ma si deve anche ammettere che proprio la realtà dell’infanzia rom rimane uno dei nodi più irrisolti. È questa una delle sfide che si propone il romanzo, facendo entrare il lettore nelle dinamiche di un campo rom per mostrargli come, nonostante la facile retorica delle buone intenzioni, i bambini che giocano nelle acque delle fogne, vicino alle baracche, in mezzo alle pance dei lenzuoli stesi, rimangano tra i più vulnerabili in termini di violazione dei diritti. Tanto da richiedersi necessario un cambiamento radicale di approccio, un ribaltamento dello sguardo che ci faccia uscire dai codici di una società etnocentrica capace di interagire con loro  solo attraverso il monocolo del pensiero unico. È questo che prova a fare Branko, discendente di una famiglia di circensi, quando si insedia nel campo con un camion carico di scatoloni e cerca un modo per relazionarsi ai bambini, e lo fa ribaltando il tradizionale approccio. Non c’è nelle sue intenzioni l’idea di socializzare i bambini alle regole di una società dominante, non c’è lo sforzo di far accettare loro le regole omogenee di un tipo di scolarizzazione omologante, c’è piuttosto uno scavalcamento, una sorta di chiusura autoreferenziale sulla loro identità  che lo porta a cercare insieme ai bambini il filo che lega la loro condizione di marginalità a quello che era stato un nomadismo sano, quello di un mondo viaggiante pieno di senso, di rispetto e di coerenza interna. Ogni sera, fuori dalla sua kasolle Branko racconta la storia della sua gente. È la storia di un piccolo circo il Kék Cirkusz e della sua famiglia sterminata nel campo di Birkenau. La luce del giorno scopre la durezza del vivere, ma al calar del sole Branko riprende il racconto e infine mostra ai ragazzini il contenuto dei misteriosi scatoloni. Dentro c’è un intero circo, con clavette, birilli e trapezi. E allora la sera si colora, e i bambini si trasformano in acrobati, clown, giocolieri. È così attraverso la voce del protagonista, dolce, fragrante di sogni e di futuro, che i bambini riprendono un filo di speranza, si impadroniscono di quello che potrà essere il difficile percorso di un riscatto sociale. Certo è strano che a raccontarci tutto sia la voce di un morto, già perché Branko, l’ungherese verrà ucciso ma non vorrà lasciarci, non fino a quando non è sicuro che i bambini abbiamo capito che l’immaginazione è più forte, che la vita è più forte. Come scrive Erri De Luca in quarta di copertina, «Le favole sono atroci, ma con il lieto fine. Quando atroce è il mondo, allora la salvezza può consistere in un circo. La resurrezione è un tendone ripiegato, da montare di nuovo. Qui siamo tra giostrai, gente che non dimentica. Accompagna la storia una lingua sorella gemella della musica». Milena Magnani (Bologna 1964) è impegnata come operatrice nel settore dell’accoglienza e del disagio diffuso. Sceneggiatrice e drammaturga, ha esordito con il romanzo L’albero senza radici (Nuova Eri, 1993) a cui hanno fatto seguito Delle volte il vento (Vallecchi, 1996), poi ripubblicato per le nostre edizioni nel 2012 e Il circo capovolto (Feltrinelli, 2008). Per anni è stata tra i redattori della rivista di letteratura sociale «Nuova Rivista Letteraria» (Alegre), fondata da Stefano Tassinari. Per Kurumuny edizioni è ideatrice e fondatrice di “Rosada”, una collana di poesia contemporanea, nata dal suo impegno nel progetto ambientale Orto dei Tu’rat.