Totò Franz (Salvatore Toma), nasce a Maglie (LE) il giorno 11 maggio del 1951.  Poeta maledetto, muore il 17 marzo 1987.
In vita diede alla luce sei raccolte di poesia, ma deve la sua fama al Canzoniere della Morte, che grazie  alla Corti fu pubblicato, postumo, da Einaudi.
Dal 1970 al 1983 pubblicò sei raccolte di poesie, i suoi scritti in vita: Poesie, Ad esempio una vacanza, Poesie scelte, Un anno in sospeso, Ancora un anno, Forse ci siamo.

Il suicidio come dolce bugia. La Corti dovette usare questo pretesto per regalare all’Italia in versi le splendide parole di Salvatore Toma, o, come amava chiamarlo Antonio Verri, Totò Franz.

Nelle sue parole ricorrono spesso il tema del suicidio, l’amore per gli animali, per la natura in genere, la solitudine dell’uomo.
In un mondo in cui il suicidio era visto come un “male incurabile”, Toma lo raccontava come un gesto eroico.

La morte era l’inizio della vita vera. Nascere, crescere e morire per poi essere liberi. Nel gesto estremo stanno i germi della vera vita, della libertà, del riconoscere-conoscere se stessi fino in fondo, in maniera diversa, nuova. Un nuovo ciclo iniziava con la morte. Toma ne fu portavoce, menestrello, paroliere prelibato.

“...Ci ho messo una croce e ci ho scritto sopra, oltre al mio nome, una buona dose di vita vissuta. Poi sono uscito per strada a guardare la gente con occhi diversi...”

Vivere per raccogliere vita, la propria e quelle altrui. Vivere per immagazzinare esperienze. Morire per vivere ancora, diversamente. Sedersi sul ciglio della strada, in un completo, pirandelliano, abbandono, “a guardare la gente con occhi diversi”, a godere dello spettacolo di tanti uomini in trappola che si agitano fra i versi della vita.

E Toma, dei versi, ne era padrone. Sul ciglio delle sue parole stava seduto, immerso nella natura a godere di quella bontà, di quella purezza che l’uomo, intrappolato nei versi della vita, non riusciva a possedere.

La bontà della natura lo rapisce, lo affascina; la cattiveria dell’uomo che si isola, allontana dal mondo della natura, la distrugge, la violenta, lo allontana dal “mondo” così come lo conosciamo noi e si immerge in un mondo vero, facendosene portavoce.
Il suicidio è gesto eroico, presa di posizione, di coscienza come opposizione e consapevolezza della cattiveria del mondo.

Quando sarò morto
che non vi venga in mente
di mettere manifesti:
morto serenamente
o dopo lunga sofferenza
o peggio ancora in grazia di dio.
Io sono morto
per la vostra presenza.

E ancora:

Così io sono morto
cento anni fa
e ancora oggi mi compiaccio
di quella morte perfetta.
Presso mezzogiorno
mi sono scavata la fossa
nel mio bosco di quercia…

La natura si coniuga a tratti, indissolubilmente, alla morte:

Vento leggero che parli
con voci di foglie
che apri i germogli
e li fai trepidare
nella primavera.
Vento che asciughi
i panni, bianchi
come visi di bambini,
e a volte con dolcezza
il sudore della fronte,
fa che la mia morte
sia liscia, serena
come il tuo respiro.

È un binomio a tratti indissolubile, il suo voler essere come la natura, libero, selvaggio, portatore di bontà e verità. A questo punto la morte si fa mezzo, “eroico”, per raggiungere la libertà, una nuova vita. La fine come inizio. La fine senza fine.
Al margine delle sue parole, sul ciglio della sua vita, lui sta:

Alla deriva
 c'è soprattutto il mare
il mare vero
l'annientante malinconia
delle alghe morte
alla deriva
ci sono sogni della sera
le ultime voci
dei fondali profondi.
Non posso esser vivo
e ricordare i morti
non voglio esser vivo
se devo ricordare i morti
da vivo non si vive
se ci accompagnano i morti
e l'ossessione della loro
esistenza.
Alla deriva
c'è invece il mare
il mare infinito
alla deriva
c'è finalmente la vita
filtrata digerita
c'è la leggerezza
del corpo vuoto.

E ancora:

“Il poeta è uno scienziato
coi piedi sulla terra,
sulla luna c'è andato
da appena nato.
Il poeta è un uomo
un poco morto
e conosce cose orrende
chissà come
per questo ride di voi
di tutti voi.”

E poi il suo amore per la natura, gli animali:

“La civetta caccia
nella calma delle notti
ma stasera che la pace
è limitata
dalla grandine e dal temporale
in qualche vecchio rudere
starà con lo stomaco vuoto
il collo ritirato fra le ali
gli occhi dolci
come lampade a petrolio.
Domani sazia
dominerà il silenzio
con le ciglia che battono lente
come l'orologio della torre.”

Il poeta si fa natura, la natura si fa poesia:

“Il poeta esce col sole e con la pioggia
come il lombrico d'inverno
e la cicala d'estate
canta e il suo lavoro
che non è poco è tutto qui.
D'inverno come il lombrico
sbuca nudo dalla terra
si torce al riflesso di un miraggio
insegna la favola più antica.”

Il poeta “Vero”:

“Ogni tanto aprono la bocca!
 
Ci sono poeti
che di vivere
fanno solo finta.
Si profumano
si aggraziano
si atteggiano
conoscono almeno mille
termini inglesi e francesi
i più sofisticati
e parlano solo se sanno
di non essere capiti
così di loro si dirà:
ma come parla bene!
poeti diffidenti
inaccostabili divini
che non valgono niente
convinti che ad ogni costo
che tutto è deludente.
Nei loro versi si decanta
l'invincibile infelicità
la grande incomunicabilità
ma in verità tutto questo
proprio non ce l'hanno
se lo vanno a cercare
per un triste poetare
e traggono l'arte in inganno.
Ogni tanto aprono la bocca
e ti mostrano la lingua
per farti vedere
che oltre a parlare
sanno anche leccare.
Evviva il poeta!
evviva la sua canzone
di bestia in estinzione!”

Morte come naturale evoluzione per una vita che sa di natura. La fine come inizio. La fine senza fine.

Francesco Aprile.