La nota sindonologa Emanuela Marinelli domenica 15 maggio a Lecce per presentare il suo nuovo libro sul sacro lino. L’appuntamento è alla chiesa di San Massimiliano Kolbe (via Terni) alle 20, dove la giornalista e scrittrice parlerà del suo lavoro editoriale, «Via Sindonis. La Passione di Cristo documentata dal Sacro Lino» (Ares) scritto a quattro mani con il teologo don Domenico Repice, una disamina completa e puntuale che mette a confronto le modalità della flagellazione e della crocifissione romana, gli usi funerari giudaici, fino ad arrivare alle più recenti ricerche scientifiche, attraverso gli apporti di due grandi sindonologi: Carlo Goldoni, ematologo, i cui studi si concentrano sugli aspetti medico-legali, e Gino Zaninotto, storico, latinista e grecista, sull’analisi delle fonti. Ad introdurre la serata saranno il parroco di san Massimiliano don Antonio Murrone e il compositore Massimo Mura, di cui sarà eseguita per la prima volta la suite «Homo Sindonis». Nel corso della serata saranno proiettate immagini sulla Sindone e sarà esposta una copia fedele. Ingresso libero con mascherina.
Professoressa Marinelli, Cosa aggiunge questa nuova pubblicazione ai suoi già vasti studi e su quanto si conosce sulla Sindone?
«Serviva fare un passo avanti. I miei libri sono sempre di impostazione storica e scientifica, ma c’era una richiesta da parte di chi segue le mie conferenze di avere anche qualcosa di spirituale. E allora ecco questo libro, che abbiamo pensato di intitolare “Via Sindonis” perché è una specie di Via Crucis che la Sindone ci permette di fare attraverso le ferite che vediamo inferte sul corpo di Cristo e con le quali possiamo ricostruire le sue ultime ore di vita. E poi “Via Sindonis” come il lungo percorso che ha fatto il lenzuolo per arrivare sino a noi. Il libro è diviso in due parti, con prefazione del cardinale Enrico Feroci. La prima contiene la pubblicazione di alcuni articoli inediti del professor Gino Zaninotto, storico, latinista e grecista, ed è incentrata sull’analisi delle fonti. Parte del suo lavoro era rimasto non pubblicato e lo abbiamo fatto, insieme anche agli studi del dottor Carlo Goldoni, ematologo, che ha studiato il sangue sul Sudario di Oviedo, confermando che è groppo AB, lo stesso della Sindone. Nel libro ci sono anche i suoi studi sulle cause della morte di Gesù, i movimenti che doveva fare in croce per respirare. Nella seconda parte c’è un contributo di quindici maestri iconografi che hanno illustrato con immagini inediti una Via Crucis sindonica. La Sindone ci conferma le cadute di Gesù, perché all’altezza del naso e delle ginocchia c’è terriccio misto a sangue, ed effettivamente Gesù è caduto come ci dice la Via Crucis ma non i Vangeli, per cui aggiunge dei particolari che poi sono entrati nella tradizione».
Sulla datazione al radiocarbonio invece, che vorrebbe la Sindone un telo medioevale?
«C’è stata una smentita scientifica ufficiale in un lavoro che ho pubblicato insieme ad altri tre studiosi: un ricercatore francese, il professor Benedetto Torrisi dell’Università di Catania, statistico, insieme al suo collaboratore il dottor Giuseppe Vernagallo. Abbiamo pubblicato questo articolo su Archeometry, rivista dell’Università di Oxford. Abbiamo dimostrato che studiando i dati grezzi delle misurazioni, secretati e ottenuti con un’azione legale, veniva confermato quello che altri statistici avevano previsto, ossia che quel campione era troppo contaminato. Questa smentita però non è conosciuta al grande pubblico. Questo libro fa giustizia anche su questo punto e non esistono altri ostacoli per l’autenticità della Sindone, che diventa un testimone prezioso, il quinto Vangelo».
Perché le teorie sulla Sindone continuano ad affascinar sia i credenti sia anche chi non crede?
«Perché la Sindone è un mistero, non abbiamo un altro lenzuolo con l’impronta di un cadavere. Anche se fosse medioevale sarebbe comunque un enigma da sciogliere. Il National Geographic sostiene con un documentario che sarebbe addirittura opera di Leonardo. Chi nega l’autenticità nega la presenza del cadavere».
Cosa prova lei ad ogni indagine sulla Sindone?
«Certamente ogni scoperta è affascinante. C’è stato un genetista di Padova, il professore Barcaccia, che cercava sulla Sindone il Dna di contaminazione, cioè di chi ha toccato il lenzuolo. Lui si aspettava di trovare molto Dna europeo ma sperava di trovare qualche traccia del Medioriente, in modo da poter attestare la presenza della Sindone in questi luoghi. Con sua sorpresa ha trovato che il Dna del Medioriente è circa il 60% e il resto è per il 7% europeo e il restante è dell’India. Ma già molti anni prima la professoressa Maria Luisa Rigato aveva ipotizzato l’acquisto della Sindone al tempio da parte di Giuseppe d’Arimetea perché nella Mishnah c’è scritto che il sommo sacerdote il sabato si vestiva di puro lino indiano. Quindi al tempio c’erano preziose stoffe provenienti dall’India, per cui per questa sepoltura regale Giuseppe d’Arimatea aveva preso un tessuto pregiato. Quando si fanno queste nuove scoperte ci sembra di avvicinarci al mistero della risurrezione».
Giuseppe Pascali